“San Pè”: una festa sul monte Antola

Mio nonno, classe 1914, mi raccontava dei suoi momenti di festa, semplici occasioni per evadere dalla fatica della vita contadina, occasione di balli e divertimenti in maschera a carnevale, oppure per conoscere o rivedere quella “ragazza così carina”.
Ogni paese aveva la sua festa e il suo ballo, certi luoghi seppur lontani, meritavano la sgambata e soprattutto la meritavano certe ragazze…
“San Pe” era una di quelle feste: si saliva dalle diverse valli e la ricorrenza era motivo di incontro, danze, qualche preghiera, una bicchierata, scambi di notizie e corteggiamenti; era una specie di antenato di quella piazza virtuale che sono diventati i social…
Ma possiamo dire che la frase sopra contiene un errore: non “era” ma “è” motivo di incontro, preghiera, bicchierate, danze.
Infatti, ieri come oggi, la festa di San Pietro in Antola è frequentata da quel popolo strano che abita l’Appennino e tu lo sai che “il 29 non si prendono impegni” e se un tuo amico si sposa proprio quel giorno, tu farai festa in vetta e poi scenderai di corsa per essere ad entrambe le feste… Non c’è Facebook che regga il confronto con quell’incontro di sguardi che, magari è passato un anno, ma lì ti ritrovi e lì ti racconti un pezzo di vita.
Parti da casa tardo pomeriggio, monti la tenda che è sempre nello stesso posto e sai che salendo trovi la famiglia di Carsi (lontana dalla bolgia), poi quelli di Valbrevenna con i cavalli ma con loro ci sono anche quelli della Banchetta, poi la tavolata dei Musante organizzatissimi, poi Torriglia, sotto la chiesetta Crocefieschi, poi quelli che “è la prima volta” e sono messi qua o là. Non mancano quelli che aprono il sacco a pelo e dormono nella chiesetta gentilmente per una volta “casa di tutti” (ma la mattina una mano a sistemare per la Messa è d’obbligo).
Don Pietro Cazzulo con la sua brandina, non è quello del ‘98 (che ogni mezz’ora suonava la campana svegliando i pochi che volevano provare a dormire) ma è sempre lì a scambiare una parola con tutti tra un sigaro e l’altro.
Già, ne è passato di tempo, era il ‘97 e tornavamo dalla GMG di Parigi quando ci fu proposto di salire in vetta portando una pietra per iniziare la costruzione della chiesetta secondo antichi disegni. Chiesetta che come l’originale ha dato un primo riparo a molti escursionisti quando il rifugio era ancora lontano.
Poi quante feste, ogni anno con un sapore speciale: soleggiate o umide, piovose o calde, nebbiose o limpide ma tutte che ti facevano scendere appagato. Anni in cui “una marea di gente”, anni più fiochi, ma allora più intimi; anni anche di temporali in cui sono nate amicizie ormai ventennali.
Cosa rende unica questa festa? La risposta è che “c’è tutto e tutti”.
All’arrivo, la sera, un bel piatto caldo ti aspetta con le prime chiacchiere ma, se sali per tempo, puoi godere anche il silenzio di un tramonto che ti aiuta a fare il punto della situazione, guardi dall’alto i paesini ma intanto guardi anche l’anno che è stato. Poi col buio c’è Pier che inizia ad agitarsi: microfoni, fiaccole, tutto è pronto e alla raccomandazione “state uniti” si illumina, per una notte all’anno, il sentiero verso la vetta. Arrivati alla croce, il don propone una semplice preghiera con un invito aperto a tutti, qualunque sia la propria fede. Un Salmo canta la bellezza del Creato e il ricordo per chi ci ha lasciato che ormai ci guarda dall’alto come le stelle di questa notte. Impossibile non essere rapiti dai ricordi, un silenzio che si riempie di storie, per qualcuno anche di lacrime, quando il dolore è troppo fresco.
Ricordi, ognuno ha suo, che solo le stelle questa notte ascolteranno.
Sopra di noi il buio, sotto la speranza di un nuovo mattino.
Un canto rompe il silenzio e ci riporta a noi, può essere “Madonnina dai riccioli d’oro” o “Signore delle cime”, oppure un pezzo molto più popolare come “Camminerò” e si inizia a scendere per tornare alla festa.
Si lasciano i pensieri più profondi e iniziano le danze, “gotti” di vino, giochi fatti di nulla, basta un bastone o una scala presa in prestito con cui cimentarsi e la festa va avanti… per i più temerari fino alle quattro del mattino!
Qualche ora di sonno umido, scomodo, rumoroso ma presto ci si alza per tornare di nuovo in vetta per assistere all’alba con i suoi famosi “salti del sole”. Intanto arriva l’escursione organizzata dal Parco con una sua guida: sono partiti in notturna da Casa del Romano. Ma soprattutto arriva la focaccia per la colazione con caffè e cioccolata calda e per qualcuno ancora un bicchiere di buon vino. Qualcuno si butta sotto un albero per dormire e recuperare un po’ di sonno, intanto si allestisce la Chiesa più bella del mondo, quella creata da Lui per tutti noi: alberi come colonne, l’azzurro infinito come soffitto, prati e fiori si uniscono alla nostra liturgia.
Qualche volta arriva anche il vescovo che rende tutto più ricco e se arriva a piedi e in braghette corte (anziché in elicottero) è proprio uno di noi! Quattro canti, le letture che ci parlano di quel Pietro e di quel Paolo con le nostre stesse debolezze ma che nonostante tutto possano dire “ho conservato la fede”.
Qualche discorso degli amministratori o autorità presenti; un grazie a chi lavora per questa festa e in primis ai gestori del rifugio e tutti i loro amici che ogni anno si rendono disponibili; ancora saluti, chiacchiere, musica aspettando il pranzo che sarà veloce e presto perchè poi ognuno torna sul suo sentiero.
Verso casa mentre si cammina si fa il bilancio di questa festa: bello? freddo? tanti? pochi? sonno… stanchezza… un anno in più ma felice, anche quest’anno, di aver fatto San Pietro in Antola.
E tu, se non ne hai mai fatto “Sa Pe” in Antola, potresti salire quest’anno per provarla…

Testo e foto di Roberta Cartasso
La fotografia della fiaccolata è di Giacomo Turco

(Articolo tratto dal N° 21 del 19/06/2025 del settimanale “La Trebbia”)

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