
Sono morti per un tozzo di pane, contro un impero e un nome -Napoleone – che non era il loro ed era arrivato da lontano portando tasse, baionette e coscrizione obbligatoria. Sono morti uccisi, con addosso l’etichetta dispregiativa di “briganti” E anche per questo sono stati dimenticati in fretta: nessuno sa più chi fosse Giovanni Gandolfo di Vìgoleno, o don Giovanni Cardinali di Tarsogno di Pradovera, di soli 22 anni, o ancora un altro prete, don Matteo Sbarbari di Macerato, tutti condannati alla fucilazione nel 1806.
La tesi di laurea di Chiara Muratore -110 e lode all’Università di Genova – restituisce loro almeno la dignità del ricordo e dei fatti, dopo un’attenta ricerca che ha coinvolto gli archivi di Bobbio. Chiara che sogna la carriera accademica, ha scelto di affrontare davanti alla commissione di laurea l’insurrezione in Valtrebbia : Ottone è infatti il paese della nonna, Giulia Molinelli, morta nel Covid, e del nonno Giuseppe Bravi. Qui Chiara, originaria di Ventimiglia ma residente a Genova, è tornata per sentire l’abbraccio dei nonni orgogliosi dal cielo. Davanti ai docenti ha sostenuto: «Viste l’insistenza e le preoccupazioni di Napoleone, Jean-Andoche Junot applicò le punizioni più severe da lui richieste», spiega analizzando soprattutto il biennio 1805-1806. «Decise di dare alle fiamme il villaggio di Mezzano Scotti, quello che aveva dato origine all’insurrezione e dal quale i briganti erano partiti per occupare Bobbio. L’imperatore esigeva che questo villaggio venisse punito; in una lettera a Junot aveva scritto: “On a connula rébellion; il faut qu’on connaisse la vengeance et la punition“». Vendetta e punizione, quindi «Le fonti erano prodotte dagli organi francesi, ma “briganti” – intesi come i fuorilegge – non erano. L’imperatore e i francesi scelsero di delinearli cosi perché questo giustificava una repressione più ferrea nei loro confronti», in realtà quei “briganti” altro non erano se non il primo vagito dell’Italia risorgimentale.
Ci fu chi arrivò a mutilarsi per evitare il reclutamento francese militare obbligatorio
«L’ostilità e l’insofferenza dei piacentini erano date da ciò che ì francesi, con la loro conquista, avevano imposto ad un territorio già in difficoltà». Così spiega Chiara Muratore nella sua tesi di laurea alla facoltà di Storia dell’Università di Genova. Sottolinea nell’elaborato: «Le tasse divennero sempre più ingenti e vennero imposte leggi che il popolo non conosceva o non comprendeva; ì sostenitori del regime precedente venivano vessati e umiliati dai nuovi dominatori. Le requisizioni alimentari per il sostentamento delle truppe francesi affamavano i montanari, e le persecuzioni ai danni della Chiesa erano malviste (come i genovesi, anche i piacentini erano tradizionalmente legati allo Stato Pontificio). Infine, ciò che più influiva nella diffusione di un sentimento antifrancese era la coscrizione obbligatoria». Nel 1805 il clima di difficoltà e miseria sfociò nella violenza «Quarantaquattro nobili piacentini, il 3 gennaio 1806, elencarono le cause della rivolta, da trasmettere all’Imperatore. Costoro ravvisavano nelle leggi sulle dogane (che non erano state pubblicate – quindi non arano conosciute dai cittadini – e avevano favorito l’aumento del contrabbando), nelle requisizioni di animali da soma per i mo ntanari che vivevano di commercio e nella coscrizione obbligatoria i tre principali affronti alla popolazione». A proposito di coscrizione, la maggior parte dei montanari fuggiva nelle zone più impervie e diventava parte dei briganti; altri si mutilavano per evitarla.
I 21 insorgenti fucilati
Ricordiamo inomi dei condannati a morte dalla commissione militare napoleonica, nel 1806, perché considerati istigatori delle rivolte piacentine. Giovanni Gandolfo, di Vìgoleno; Giacomo Prati di Dughera; Antonio Bresciani dì Guardamiglio; Agostino de Torri di Ziano; Giuseppe Scarabozzi di Montaldo; don Giovanni Cardinali di Tarsogno; don Matteo Sbarbari di Carniglia; Giuseppe Covati di Macerato; Luigi Curletti dì Piacenza; Giovanni Prati di Castelnuovo; Domenico Zambianchi di Corneto; Baldassarre Mazzocchi di Castagna, Luigi Ferrari di Montecalvo, Antonio Bavagnoli di Montù Beccaria; Antonio Vitale di Montalbo;Giovanni Valè di Rovescala; Domenico Bongiorno di Donelasco; Giovanni Cordani di Groppallo; Andrea Cavazzutti di Valtolla; Marco Villa di Sperongia; Giuseppe Bussandri di Scipione.
Il monastero di Colombano fu soppresso
Nella tesi di laurea di Chiara Muratore – relatore il professor Emiliano Beri – viene tratteggiato II quadro di una Bobbio dove ancora oggi sono profonde e intatte le sottotracce del complesso perìodo della dominazione francese, fatto di luci (come la statale 45, il catasto, le riforme scolastiche) e ombre (come le repressioni sanguinarle). «Per mantenere la “Sureté publlque”, in tutto l’Impero, il maire della città poteva rilasciare il “controlle de la carte de suretè” ai cittadini che dovevano recarsi in un’altra città», spiega la neolaureata Chiara Muratore, «Gli individui senza questi passaporti non soltanto erano guardati con sospetto dagli abitanti del luogo. ma subivano anche arresti». Ci furono anche sacerdoti, nel basso clero, che si schierarono contro i francesi: «La popolazioni; chi viveva nelle montagne della Valtrebbia restava fieramente cattolica e non sopportava l’umiliazione che subiva Papa Pio VI Braschi prigioniero a Valence, l’oltraggio al proprio clero e le confische che erano costretti a sopportare, compresa la soppressione del monastero di san Colombano nel 1801, con la dispersione della sua biblioteca e, l’anno successivo, di quella di Santa Chiara. Anche l’abolizione di una tradizione considerata sacra come il matrimonio religioso fu percepita malamente dal popolo», conclude Muratore.
Elisa Malacalza
(Articolo tratto dal quotidiano “Libertà” del 14/08/2025)
L’immagine è “Il 3 maggio 1808: Fucilazione alla Montana del principe Pio“ un dipinto autografo di Francisco Goya realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1814 , misura 266 x 345 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.
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