Storia di una valle e dintorni – 2a parte

Scioglimento della banda Gaspare
“Nel mese di marzo (1944) ebbi ad accompagnare gli avv. Daveri e Cantù, costretti a rifugiarsi in Svizzera, per sfuggire agli sgherri dell’Ufficio Politico, che ormai li stavano braccando dappresso. Li precedetti a Moltrasio, sul lago di Como, allo scopo di prendere conoscenza della zona e di preparare l’espatrio.
Questo ebbe luogo nella notte tra il 14 e il 15 marzo, ma traditi da contrabbandieri locali, scelti quali portatori di bagagli, i due vennero catturati da finanzieri e rinchiusi nella loro casermetta, in prossimità del confine, con la poco lieta prospettiva di venir consegnati ai tedeschi. Nel corso della notte stessa, però, dopo lunghe trattative essi riuscirono a convincere il comandante dei finanzieri a lasciarli liberi di varcare il confine e mentre i due perseguitati riparavano in territorio straniero, io feci ritorno a Milano e quindi a Piacenza per assicurare che la missione aveva avuto esito felice.
Dopo pochi giorni presi la via della val Trebbia con l’incarico di andarvi a controllare l’attività della banda «Gaspare». Infatti le notizie che pervenivano parlavano di gravi irregolarità e di soprusi da essa compiuti. Questa banda, come si è detto, operava nella zona di Marsaglia. Era costituita per la maggior parte da giovani elementi locali ed era comandata dallo stesso Gaspare. Gaspare era un uomo abbastanza giovane, dalla corporatura piuttosto tarchiata; sapeva esprimersi discretamente nella nostra lingua; la prima impressione che ci fece fu quella di un individuo diffidente, cinico, arrogante, e per di più disonesto come i fatti poi dimostreranno. Le prime azioni di guerra di questa banda vennero effettuate contro i presidi montani della antiaerea e fruttarono armi, indumenti e scorte di viveri. Nello stesso tempo si procedette anche al prelevamento di qualche «gerarca» e di altri elementi pericolosi, perchè supposti spie o comunque compromessi coi nazifascisti. Di fronte a tale stato di cose gli altri gerarchi nemici, presi dal panico, o fuggirono o chiesero un reparto di militi per la salvaguardia della loro persona. Così accadde a Cerignale ed a Rovaiola, dove un noto gerarca piacentino aveva a sua disposizione un armatissimo nucleo di militi. Contro questo reparto verrà sferrato un forte attacco da parte dei partigiani della banda « Gaspare », attacco che provocherà la fuga dei militi, ma costerà alla banda la morte del partigiano Mazzoleni, di Cortebrugnatella.
Numerose furono pure le azioni di disturbo del traffico nemico sulla statale N. 45 e sulla strada dell’Aveto. Numerosi furono pure i prigionieri, ricco il bottino delle armi, fra le quali le mitragliatrici, mitra, pistole, mitragliatori, fucili, bombe a mano e munizioni.
Sorgeva però il problema dei prigionieri nemici. Dove alloggiarli? Come nutrirli? Gaspare non se le pose mai queste domande. Lui i prigionieri li faceva eliminare, fucilandoli subito o dopo breve tempo dalla cattura. A nulla valsero le intercessioni dei parroci, dei civili e di alcuni degli stessi partigiani. Queste esecuzioni sommarie andranno crescendo al punto da provocare disgusto e sgomento fra la popolazione, che è contraria alle crudeltà ed alle nefandezze della guerra civile. Non vale la giustificazione che i partigiani non possono sobbarcarsi il peso dei prigionieri, creando dei campi di concentramento, data appunto la precarietà della situazione ed il fatto che sono costretti a continui ed improvvisi spostamenti, perché ormai braccati giorno e notte, senza soste e non vale neppure la giustificazione che l’esempio l’hanno dato per primi i nemici, i quali hanno anche seviziato i cadaveri dei partigiani uccisi. La reazione nemica non tardò a manifestarsi. Si ebbero infatti delle forti puntate col preciso scopo di distruggere la banda di Gaspare e quella del Montenegrino, la quale ultima, dopo molesti e vittoriosi scontri sostenuti nella val Nure, in quella dell’Aveto ed anche in quella del Trebbia si era concentrata nella zona di Peli e di Pradovera.
Purtroppo le cose tra i partigiani non funzionavano molto bene perché gli abusi e le irregolarità gravi compiuti dalla banda «Gaspare» , e per sanare le quali io ero stato inviato sul posto, rispondevano a verità. Il contegno cinico e prepotente dello stesso Gaspare, il quale più che ai bisogni dei suoi dipendenti ed alle azioni militari pensava agli amori e ad arricchirsi, portando via beni e denaro alla popolazione, come se la zona in cui operava la sua banda fosse diventata per lui terra di conquista, era più che eloquente. Che altro poteva esservi nella sua rozza mentalità di straniero, privo di idealità, di moralità, di sensibilità, ed avido solo di preda e di sangue? Attorno a lui vi erano poi altri degni della sua fama e quel che è peggio si trattava di elementi italiani. Non molti in verità furono coloro che in tali frangenti seppero mantenersi onesti e incorrotti; non molti furono i puri e gli idealisti.
Sempre da Cerignale inviai tre successivi rapporti al col. Canzi, nei quali non lesinavo le critiche e le accuse, mettevo a nudo i reati e gli arbitrii, svelavo le colpe ed i colpevoli, illustravo la grave situazione e sollecitavo a porvi rimedio, suggerendo l’immediato invio di un certo numero di partigiani armati, onde procedere al disarmo della banda «Gaspare», e provvedere poi alla sua riorganizzazione, dopo aver allontanato gli elementi turbolenti, quelli disonesti e quelli inutili, per il buon nome del movimento. Il disarmo ebbe luogo soltanto sul finire del mese di giugno, non da parte però dei partigiani piacentini, bensì da parte dei Garibaldini di Bisagno.
Tutto si svolse, contrariamente alle previsioni, nella massima calma e senza dover ricorrere all’uso delle armi. Gaspare venne esonerato dal comando della banda, mentre gli elementi più turbolenti e pericolosi vennero disarmati, diffidati ed allontanati. La maggior parte dei partigiani venne incorporata nella formazione Garibaldina.
Anch’io ebbi l’invito ad entrare a far parte della formazione di Bisagno, ma preferii lasciare la zona ligure per avviarmi verso Bobbio, per incontrarmi col signor Virgilio Guerci, il quale da qualche tempo era riuscito ad organizzare un piccolo nucleo partigiano nel paese di Coli.
Con me era pure Tom (Francesco Gobbi), un partigiano giovanissimo che dovrà poi farsi molto onore nella 7a Brigata Alpina.”

Italo Londei

(Articolo tratto dal N° 37 del 18/11/2021 del settimanale “La Trebbia”)

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