Il paesaggio della Gioconda? “La campagna piacentina”

“Oggi ho attraversato la valle più bella del mondo”. Così scriveva, pare, Ernest Hemingway a proposito della Val Trebbia. Se lo scrittore americano vi sia realmente passato è un piccolo giallo. E non è l’unico che sembra accompagnare la bella campagna di Bobbio nel piacentino. Ce n’è uno che chiama direttamente in causa Leonardo da Vinci e il suo dipinto più famoso, la “Gioconda”, ammirata da milioni di visitatori del Louvre a Parigi.
Se il paesaggio che fa da sfondo alla Monna Lisa fosse proprio quello di Bobbio, e nello specifico, il panorama che si può ammirare da un punto preciso del castello Malaspina dal Verme? Alla domanda sta provando a dare una risposta la studiosa savonese Carla Glori, che già un paio di anni fa aveva suscitato un vivace dibattito, tra gli accademici e il grande pubblico, identificando il ponte che compare nella parte destra del dipinto, come quello del Diavolo o Gobbo, che ancor  oggi scavalca il fiume Trebbia.
La ricercatrice ha continuato la sua indagine, e ora, grazie alla collaborazione dello studio di architetti Angelo e Davide Bellocchi di Piacenza, ha potuto individuare nel paesaggio reale ben 12 coordinate, corrispondenti ad altrettanti elementi raffigurati nel quadro. Leonardo dunque creò il suo dipinto più famoso a Bobbio?
“Non possiamo avere certezza del fatto che Leonardo abbia dipinto dal vero Bianca Sforza dentro il castello e contro lo sfondo di quel paesaggio. Potrebbe aver dipinto lo scenario naturale visto dalla finestra del castello su abbozzo o a memoria. Fatto sta che, attraverso il rigoroso lavoro di verifica, trova fondamento scientifico l’identificazione dello sfondo” spiega Glori. Una tesi che arricchisce la questione dell’identificazione della donna, che Glori ritiene essere Bianca Giovanna Sforza, figlia di Ludovico il Moro, signore di Bobbio.
“In uno stretto intreccio, la localizzazione del paesaggio comporta poi una conferma alla identificazione della donna, in quanto riferita a dati storico/biografici: la modella era signora della confinante Voghera, moglie del potente signore delle terre della val Tidone visibili dal castello e soprattutto lei è ritratta nel castello di suo padre, il Moro”.
Sono diversi gli elementi con i quali la ricerca ha agganciato i riferimenti dipinti a quelli reali del paesaggio. Non solo il ricordato Ponte del Diavolo, ma anche la “coincidenza del corso serpentino del Trebbia e la coincidenza della grande ansa di fronte a Piancasale con quello che si assimila a uno slargo lacustre alle spalle della modella. Ulteriori approfondimenti sono in corso sulle montagne: la finestra tettonica di Bobbio e le sue formazioni ofiolitiche  – in particolare la Parcellara  –  erano infatti di indubbio interesse per Leonardo” si legge nella relazione di Glori.
Nel 2012 la studiosa aveva scoperto grazie alla riflettografia (l’esame agli infrarossi) un arco, poi coperto con il colore, circa nel punto dove verrà quindi dipinto, il Ponte Gobbo. Un ulteriore tassello, perché “sta a comprovare l’esistenza concreta del ponte, in quanto non necessitano disegni schematico – preparatori di quel tipo per dipingere un ponte del tutto simbolico” scrive la studiosa in un articolo del 2012.
Tutti questi elementi secondo la tesi non solo svelano il paesaggio, ma consentirebbero di risalire al punto di vista del pittore, al luogo esatto cioè dove Leonardo poteva ammirare il panorama che avrebbe dipinto. Lasciando un po’ correre la fantasia ci si può immaginare la Monna Lisa che punta il suo sguardo in direzione del pittore e il grande artista che con gli occhi cattura l’anima della donna e lo scenario visibile da una finestra del castello di Bobbio.
“Il Pittore – dice Glori – non risulta abbia operato manipolazioni, giustapposizioni o ibridazioni di paesaggi diversi né forzate compressioni, e infatti quello identificato, pur artisticamente rielaborato, risulta reale nella sua interezza e concretamente rispondente alla vista che se ne ha dalla finestra del castello sulla facciata nord est del castello, e di cui si mira, sotto l’aspetto tecnico, a individuare con maggiore esattezza la localizzazione. Gli architetti hanno operato una minima compressione, calcolata ispirandosi a criteri indicati da Leonardo stesso in  alcuni punti del Trattato della pittura, riuscendo con tale procedura a ricostruire oltre alla vista del ponte reale da quella indicativa finestra anche lo spostamento virtuale un po’ all’indietro del ponte Gobbo nel  dipinto”, espediente usato da Leonardo, secondo la studiosa “per farlo stare intero nel quadro e per fini estetici e simbolici”.
Lo stesso castello è stato oggetto di una ricostruzione 3D nell’aspetto che doveva avere alla fine del 15esimo secolo e quindi collocato nel paesaggio, elaborato sempre in tridimensionale.
Leonardo avrebbe insomma lasciato una vera e propria mappa nei dettagli del dipinto. “La scelta delle dieci coordinate dello sfondo – conclude Glori – da parte del pittore è stata lungimirante, sia per la loro potenza simbolica sia perché gli elementi del paesaggio bobbiese reale che ad esse corrispondono hanno resistito nei secoli, essendo rimasti riconoscibili o comunque storicamente documentati”.

Raffaele Castagno

http://parma.repubblica.it (09/09/2015)

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