Cippo di Monte Ramaceto: la vera storia

Da Orero a Ventarola, da Acero a Lorsica, dalla Forcella ai Romaggi, Monte Ramaceto da sempre costituisce per il Sottoscritto fulcro di indomabile suggestione, in un ormai pluriennale progetto di approfondimento conoscitivo della storia naturale e culturale dell’Appennino Ligure senso lato.
Per me che risiedo nella piacentina Val Nure, Monte Ramaceto ha anche più di una volta rappresentato fonte primaria di ispirazione nell’invitare i conterranei che condividono analoghi intenti, coinvolgimenti e passioni, ad allargare gli orizzonti esplorativi oltre i confini dell’Emilia, verso la culla geografica della cultura appenninica ligure della Val d’Aveto e della Val Fontanabuona.

In data 17 settembre 2023, mi trovo ancora una volta a percorrere la zona di Monte Ramaceto, nell’occasione in compagnia del Sig. R. B., con cui mi è già capitato in un recente passato di condividere episodi escursionistici lontani dalla ‘nostra’ Val Nure. In tale occasione, R. B. è determinato a seguirmi lungo un percorso di cui ho già avuto più volte la possibilità di ammirare la magnificenza. Con partenza da Ventarola di Rezzoaglio, intendiamo spingerci fino al Passo dei Romaggi e ai Prati di Cichero, in un itinerario transvallivo tra Aveto e Fontanabuona che ci auguriamo possa toccare anche la ‘Valle dei Fighè’, dove si trova il sito archeologico della ‘Pria Scrita’ (‘pietra scritta’).
Raggiunta la Val d’Aveto già la sera precedente, trascorro con il mio compagno di viaggio lunghe e piacevoli ore di confronto e discussione su tematiche storiche e naturalistiche di comune interesse fino a quando, in una uggiosa domenica mattina, raggiungiamo la Cappelletta di Monte Ramaceto, con le nuvole basse che continuamente allungano e ritirano le grinfie dal crinale appenninico principale.
Alla Cappelletta, ci rifocilliamo dopo la non breve salita dal fondovalle Aveto, allungata da distrazioni che l’incedere della stagione autunnale ha ampiamente risvegliato, tra salamandre pezzate e funghi di ogni tipo. E sarà proprio la ricerca di immagini capaci di documentare adeguatamente i protagonisti dell’autunno del Ramaceto a calamitare continuamente verso il suolo i nostri sguardi, durante tutto il tragitto che separa la Cappelletta dal valico di località ‘Fo’ de Driùn’.

E mentre ti sollazzi con i pensieri distaccati da qualsiasi cosa, succede tutto a un tratto che ‘il tuo Appennino’ non sarà più lo stesso! Improvvisamente, il Sig. R. B. quasi sussurra: “Cos’è questo?”. Quando mi volto, le sue dita stanno già accarezzando quello che sembra solo uno spigolo di una delle tante​ lastre di arenaria che da queste parti emergono dal terreno. Avvicinandomi, scorgo i polpastrelli di R. B. che rimuovono delicatamente un sottile strato di terriccio e foglie, mettendo in mostra quella che parrebbe proprio un’incisione curvilinea, un arco o un semicerchio si potrebbe dire, o più semplicemente una lettera: una ‘C’!
Presto ci rendiamo conto che la lastra di arenaria non è immersa nel terreno ma semplicemente adagiata sulla superficie, sebbene ricoperta e circondata da un sottile strato di terriccio e detriti abbastanza stabilizzati da non consentirci di apprezzarne l’effettivo spessore. Solo con il senno di poi, ci renderemo conto di essere transitati attraverso una profonda euforia di conoscenza e scoperta che da sempre accompagna uscite del genere, con l’emersione di una serie di altre incisioni che seppur parzialmente celate dall’adesione alla roccia del terriccio umido, sembrano chiaramente comporre un singolo disegno o epigrafe.

Siamo naturalmente perplessi.

“Forse sono lettere?”

“Ma no, non hanno senso…”

“Potrebbe essere l’architrave di un portale…”

“Magari, è solo un artefatto geologico…”

Per alcune decine di secondi la mente è offuscata, in cerca di un qualsiasi inafferrabile appiglio che non si riesce a trovare, che non si riesce a leggere. Nella nebbia del Ramaceto, non tardo a scattare alcune fotografie con il telefonino. Le visualizzo, le contrasto, le ingrandisco e a quel punto tutto ciò che ho visto, ciò che ho imparato e ho studiato, l’esperienza di decenni in Appennino, la sete di conoscenza del territorio e della sua storia, rivivono dietro i miei occhi. In pochi secondi, elaboro tra conscio e subconscio una miriade di testi, articoli, discussioni, fotografie, immagini e soprattutto i ricordi di una non datata visita al Museo Archeologico di Palazzo Fascie Rossi a Sestri Levante, dove è esposto un noto reperto di età romana recuperato sul Monte Ramaceto nel 2015. Senza nemmeno accorgermene, traduco la tempesta interiore in cui mi ritrovo in poche parole urlate muovendomi insensatamente tra i faggi: “Caesaris nostri!!! Caesaris nostri!!! Caesaris nostri!!! Cippo!!! Cippo!!! Cippo!!!”.​

Sono al massimo trascorsi cinque minuti dall’inizio di questa incredibile vicenda e sono già più che sicuro: abbiamo sotto gli occhi il secondo cippo confinale di Monte Ramaceto, il quarto cippo confinale conosciuto per il mondo imperiale romano!
In tutto questo trambusto vissuto al confine tra dimensioni parallele, quasi mi dimentico del mio compagno di viaggio che, al ritorno sulla Terra, trovo giacere attonito vicino al cippo, con lo sguardo fisso verso l’incisione che finalmente leggo nella sua interezza: “CAESARI N” (‘sic!’ ovvero ‘scritto esattamente così!’).
Si sa, il tempo diviene un fattore molto relativo in situazioni del genere: presto ci rendiamo conto che non possiamo certo vivere lì e, in un’atmosfera a dir poco surreale, riprendiamo il nostro cammino ma non arriveremo mai alla ‘Pria Scrita’, meta inizialmente prefissata. Inevitabilmente attardato da ogni tipo di elucubrazione, mi soffermo spesso nel tentativo di convincere il mio incredulo accompagnatore sull’autenticità dell’eccezionale ritrovamento appena avvenuto.

Per scelta personale, da ormai sette mesi non ho più alcuna notizia del secondo cippo romano di Monte Ramaceto, pur a conoscenza del fatto che la Sovrintendenza della Regione Liguria abbia recepito la pronta segnalazione del Sig. R. B. cui spetta la paternità del ritrovamento.
Rimanendo tuttavia indelebili le circostanze che hanno inevitabilmente travolto il Sottoscritto nel primo indiscutibile riconoscimento del manufatto, mi sono infine deciso a condividere quanto effettivamente accaduto attraverso questo manoscritto.
Naturalista vecchio stampo, non è certo mia intenzione né tanto meno mio compito approfondire gli aspetti che sembrano rendere il secondo cippo di Monte Ramaceto ancor più significativo del suo predecessore ma scrivo questa memoria con il deliberato augurio che Enti e Comunità locali possano essere prontamente e adeguatamente coinvolte in un efficace progetto di messa in sicurezza, recupero, studio e conservazione ‘in situ’ (ovvero ‘sul posto’) di questo straordinario reperto.

Giacomo Bracchi a.k.a. Oranje Baard – 1 aprile 2024​
(Foto originale del 17/09/2023)
(Testo tratto dal gruppo Facebook Il mio Appennino)

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