Insediamenti monastici e xenodochi in Val d’Aveto nel Medioevo

“Ave maris stella- Dei mater alma…”
La piccola schiera di fedeli si snodò e si mosse in processione, dopo la celebrazione della Messa, partendo dalla cappella, lungo la stradina sterrata che univa i due abitati di Gavadi, e mi parve allora, come per miracolo, che tutto in quel pittoresco paesaggio si fondesse con il canto liturgico alla Vergine, in un’atmosfera di candore e d’incanto.
Doveva essere domenica 6 settembre 1953, festa della Madonna della Pace. Io avevo compiuto da poco nove anni. Mio padre mi aveva fatto salire da Santo Stefano attraverso il prato di San Lorenzo. Ricordo che erano presenti vari seminaristi del centro comunale, tra cui il rimpianto Don Renzo Tassi e il futuro sacerdote e insigne storico Don Michele Tosi, di Gavadi.
Ora, a distanza di vari decenni, credo che proprio l’amore viscerale per la terra d’origine unito ad una fede sincera e profonda, abbia condotto Michele Tosi non solo a ricevere l’ordinazione sacerdotale, ma anche a compiere le approfondite ricerche storiche, a cui noi tutti dobbiamo attingere, se vogliamo conoscere il passato delle nostre valli.
Nella rivista ARCH1VUM BOBIENSE, da lui stesso fondata (N. XVI-XVII, 1994-95), scopriamo pertanto come in Val d’Aveto nel Medioevo esistessero quantomeno tre xenodochi, ospizi gratuiti per forestieri di passaggio. Il più importante doveva essere collocato ad Orezzoli (Aurezali in latino medioevale, toponimo da far risalire al monastero di San Pietro in Cielo d’Oro – Sanctus Petrus in Aureo Celo o in Celo Aureo a Pavia), lungo l’itinerario Pavia-Tortona-Ponte Organasco-Cariseto-Alpepiana) e da cui provenivano i monaci benedettini, che hanno evangelizzato la Val d’Aveto (app.VI, p.181, dello stesso numero della rivista). Dell’ospizio di Orezzoli non resta più traccia, ma del piccolo tempio dedicato San Pietro, che ci riporta all’omonima chiesa di Pavia, si possono ancora vedere due architravi.
Sulla strada delle Lame oggi nel territorio comunale di Rezzoaglio, lo stesso Tosi accenna ad uno xenodochio dedicato a San Bartolomeo (dove sorgeva pure, fino al 1686, una chiesa dedicata allo stesso santo), che offriva ricovero ai provenienti dalla Valle Sturla, attraverso il crinale delle Lame. Era la cosiddetta “Strada dei buoi”, che da Borzonasca conduceva a Magnasco (ibid. p. 98 e il mio libro “Gli Statuti Malaspiniani di Santo Stefano d’Aveto p.56)
Il terzo xenodochio, secondo i documenti riportati dallo studioso (ibid. p.102), doveva trovarsi verso il Monte Chiodo, tra il Passo del Tomarlo e il Monte Penna, lungo l’itinerario che da Santo Stefano conduceva alla Val di Taro.
Tuttavia, se delle tre precedenti costruzioni non rimane attualmente più alcun vestigio, i due monasteri della Val d’Aveto, per quanto scomparsi da tempo, sono meglio documentati.
Il cenobio di Pietra Martina (oggi Villa Cella) fu fondato il 30 marzo 1103 da sette monaci provenienti da Pavia, ma non si conosce la data della sua estinzione (ibid. p.81 e “LA VAL D’AVETO. Frammenti di storia dal Medioevo al secolo XVIII, di Massimo Brizzolara, Chiavari, 1998, p.223). Questo insediamento è stato oggetto di molte ricerche, anche approfondite.
Un secondo monastero, dedicato a San Siro (si veda “Viaggio ai monti di Piacenza -1805”, di Antonio Boccia, Piacenza, 1977-2006, p. 125), che dovette sorgere in epoca antecedente al secolo XII, in cui 1′ Italia nord-Occidentale veniva denominata genericamente Longobardia, allorché non esisteva ancora la dominazione dei Malaspina in Val Trebbia e Val’Aveto, era situato in località Pietre Sorelle, tra Passo della Crociglia (Ferriere) e il Passo del Bocco (Santo Stefano). A Piacenza fino all’avvento di Napoleone erano attivi pure un convento ed una chiesa intitolati allo stesso santo, vescovo di Genova nel IV secolo.
Si direbbe quindi che quanto viene riportato dagli Statuti, a cui ho accennato (pp. 54-56), riguardo l’esazione dei pedaggi e la successiva costruzione delle varie “caserme”, lungo le strade che conducevano in Val d’Aveto dal Piacentino, dalla Valle Sturla e dal Parmense, abbia trovato una sorta di antecedente non ancora improntato al potere politico, ma ispirato alla spiritualità e alla pratica religiosa nei monasteri e nei ricoveri per i forestieri, a cui fa riferimento in particolare Michele Tosi.
Piccole preziosità nel vasto mare delle sue ricerche.

Piero Campomenosi

(Articolo tratto dal N° 19 del 17/05/2012 del settimanale “La Trebbia”)
(La fotografia dei resti del monastero di Villa Cella è di Giacomo Turco)

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