Pietranera di Rovegno: un paese incantato sospeso tra cielo e terra

I piccoli centri della Val Trebbia hanno sempre una lunga storia da raccontare. Ma Pietranera di Rovegno assomiglia ad una creatura fiabesca, quasi che il cielo e la terra abbiano voluto sposarsi qui, in una luna di miele perenne. Se è vero che al cuore non si comanda, bisogna infatti non distrarsi da questo sogno, una volta giunti in paese per ammirare i prati pianeggianti e le rocce (la famosa pietra nera, da cui il toponimo) che lo circondano e dove, fino a qualche tempo fa, pascolavano le greggi. Il tempo, che non sempre è galantuomo, non è riuscito a scalfire l’incanto che prova il visitatore. I pochi abitanti (credo che normalmente non siano più di sette), quando giungi alla meta ti osservano quasi spauriti, perché si accorgono che il loro deserto non poi così deserto. Il gitante si reca per lo più presso la trattoria di Giacomo Mazzoni, un montanaro col cuore in mano (purtroppo deceduto il 19 maggio 2016, e la trattoria chiusa alcuni anni dopo NDR). Il locale è sempre aperto, mezzogiorno e sera e in ogni stagione, anche se occorre prenotare, e qui puoi gustare i piatti tipici della cucina rustica ligure, amorevolmente preparati dalla moglie Anna nel la vecchia cucina: ravioli al “tuccu” e lasagne al pesto la fanno da padroni. Non manca dell’ottimo vino piacentino. L’ambiente è rigorosamente dell’ Anteguerra e il caffè viene servito dalla moka. Una stufa di ghisa a legna fa un’ottima compagnia. Lui, Giacomo, sorride sempre, come il suo villaggio, e mi parla volentieri dei tempi passati, quando frotte di bambini giocavano a nascondino dietro le case e le donne si recavano alla fontana a lavare i panni. Trasmette la gioia di un tempo, nonostante l’età, e aspetta l’estate per vedere tornare i villeggianti spesso oriundi del paese. I cognomi sono sempre gli stessi: Mazzoni, Barbieri, Poggi, Foppiani, Isola. Qui parlare il nostro dialetto è quasi d’obbligo e qui, negli anni ’80, potevi anche incontrare casualmente il poeta Giorgio Caproni con l’amico Albino Barbieri di Zerbo a sorseggiare un bicchiere di vino o a pasteggiare.
Io e mio fratello Cristoforo qualche anno fa abbiamo raggiunto Pietranera a piedi da Alpepiana, un percorso che potremmo chiamare via terra, siamo saliti sul Montarlone e scesi a Pietranera. Giacomo era lì, puntuale all’ una e mezzo, sulla porta della locanda ad aspettarci . Gli avevo tempestivamente telefonato da Alpepiana, ma, ahimé, della “fontana del bambino”, nota tanto in Val Trebbia che in Val d’Aveto, non abbiamo trovato traccia, nonostante le sue dettagliate spiegazioni. Si narra infatti che una famiglia di Rovegno nel Seicento, quando le fonti battesimali erano rare, dovesse recarsi ad Alpepiana per battezzare il bambino, che versava in gravi condizioni di salute. Fu battezzato in extremis con l’acqua di questa fontana . Chi avesse intenzione di conoscere le antiche “plebane” della Val d’ Aveto può consultare ARCHIVUM BOBIENSE (1994 – 95), curato dal rimpianto Michele Tosi, a cui devo un grazie sincero. Lo studioso ci spiega che le chiese battesimali in Val d’Aveto, fino al Seicento inoltrato, erano solo tre: Alpepiana, Pievetta e Torrio. Ma un sentimento di gratitudine a Dio, forse più intenso, proverei, se vedessi un cliente occasionale entrare nell’accogliente trattoria di Giacomo.

Piero Campomenosi

(Articolo tratto dal N° 17 del 19/05/2016 del settimanale “La Trebbia”)

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