L’ex colonia abbandonata due volte

Qui, tra boschi fitti di abeti e pini, si scrissero diverse pagine di storia, nella sanguinosa primavera del 1945, all’alba della Liberazione di Genova, fra nazifascisti in fuga e partigiani insediati, particolarmente numerosi e attivi in queste vallate alle spalle di Ge­nova.
Qui, fino a pochi anni prima, c’erano centinaia di bambini meno abbienti mandati in vacanza nella campagna genovese dal regime fascista. Qui, a Rovegno, a dieci minuti dalla piazza centrale del paese, era stata eretta in­fatti nel ’34 una grande colonia mon­tana, oramai da decenni completa­mente inutilizzata.
E adesso, come spesso succede, il grande fabbricato, che era dotato anche di piscina e parco giochi, cucina, grandi camerate e mensa, giace ri­dotto ad una tristissima rovina, in as­soluto degrado. L’ha fotografata – e se­gnalata al Secolo XIX – un lettore ap­passionato di storia e di Val Trebbia, che ha raccontato l’immagine deva­stante che ci si trova davanti arrivando alla vecchia croce di ferro arrugginita che introduce alla colonia. «Arrivo in un enorme spiazzo di terra battuta – scrive Roberto Nicolick – e mi si sta­glia di fronte un enorme fabbricato, stile primo Novecento, con un grande corpo centrale e parti laterali più alte, che sembrano due torri. Su una c’è un’asta per la bandiera, tutte le fine­stre sono distrutte, e sembrano vuote occhiaie di un teschio, sul frontale una scritta illeggibile che fa parte di un im­ponente ingresso con scalinata.
L’interno dell’immensa colonia, che si alza su tre piani, è di un degrado indescrivibile, non esiste più una porta intatta, i tramezzi sono sfondati, il soffitto pende a tratti fino al pavi­mento, sbrecciato anch’esso, i pochis­simi muri intatti sono ricoperti di scritte e disegni osceni, ovunque ci sono materassi lacerati, mobili di­strutti».
Uno sfacelo, insomma, in un luogo dove gli orrori della guerra civile arri­varono all’ennesima potenza, e dove, seconda un comunicato della Prefet­tura di Genova nel 1946, ci furono oltre 600 morti tra tedeschi e ele­menti della Repubblica di Salò. Ora c’è solo un monumento alla devasta­zione, un sito assolutamente in ab­bandono, dove ogni tanto si radunano dei ragazzi per organizzare dei rave party, non troppo bene accetti dalla gente di Rovegno.
Lo stesso sindaco, Pinuccio Isola, la scorsa estate si era lamentato a gran voce, chiedendo un più massiccio in­tervento della forza pubblica, dopo che un migliaio – o forse più – di gio­vani dall’altissimo tasso alcolico ave­vano celebrato un rave con birra a fiumi e musica techno e house ad altis­simo volume.
Nel corso degli anni, si era parlato anche di recuperare questo enorme edificio, per farne qualcosa di utile per la comunità. Dopo varie vicissitudini, la proprietà era passata al Comune di Rovegno, certo non in grado – date le scarse finanze dei piccoli comuni – di effettuare un intervento conservativo e di restyling e di trasformare l’ex co­lonia in qualcosa di utile. Cinque anni fa, poi, l’aveva acquistata per 250.000 euro una società di Milano, con la vaga intenzione di rimetterla a posto e cre­are forse un centro per anziani o per disabili.
In questi cinque anni, però, nessuno si è più fatto vivo a Rovegno, e la colo­nia è stata completamente dimenticata dai suoi nuovi proprietari. E così, lo stato di degrado, se possibile, è an­cora aumentato. «Noi non possiamo farci niente – spiega allargando le braccia il sindaco Isola – anche perché non è più di nostra proprietà, e co­munque non avremmo mai i soldi sufficienti.
Vendendola, abbiamo racimolato denaro che in questi anni ci è servito per fare parecchie cose per Rovegno, e ne siamo ben lieti. La ditta che l’ha ac­quistata, la San Francesco di Milano, è praticamente scomparsa dopo averla comprata. Non è certo un bel vedere, ne siamo tutti consapevoli, e per di più è spesso teatro di rovinosi festini a base di alcol e musica che certo non fanno piacere. Ma purtroppo non è l’unica ex colonia del fascio ad essere in rovina. Se qualcuno si muovesse con l’intenzione di farci qualcosa di positivo per la comunità, il Comune approverebbe senz’altro». Ma a quanto pare, non interessa a nessuno recuperare questo vecchio edificio. Destinato a continuare ad arricchire la non piacevole lista dell’archeologia rurale che cade a pezzi.

Costruita in sette mesi nel 1934

Progettata dall’architetto Nardi Greco, la colonia montana Lavillà risulta iscritta al catasto urbano del Comune di Ro­vegno alla partita 107, foglio 83, mappale 135, intestata al Commissariato Provinciale della Gioventù Italiana del Littorio per un volume complessivo di 28.709 metri cubie di circa 1.800 metri quadrati per piano. Costruita in soli sette mesi e inaugurata il 29 Luglio 1934 dal se­gretario amministrativo del par­tito nazionale fascista Giovanni Marinelli, la colonia è alta tre piani, dotata di grandi dormitori, refettori, cucine, uffici, inferme­ria, servizi igienici con doccia, ter­razze, piscina e palestra. Nel luglio del 1943, alla caduta del fascismo, con 1’8 settembre e l’inizio della Resistenza in Liguria con la costi­tuzione della VI Zona Operativa, venne occupata dai Partigiani di­venendo sede del comando opera­tivo. Dopo la Liberazione, ospitò ancora bambini in vacanza, a cura dei religiosi del Don Bosco, poi passò alla Regione Liguria, che alla fine degli anni Settanta la cedette al Comune di Rovegno. Qualche anno fa era stata indicata dalle pre­fettura come possibile sito per ospitare il primo centro di perma­nenza temporanea in Liguria (CPT), ma l’idea non ebbe seguito. Dal 2004 è di proprietà della so­cietà San Francesco di Milano.

Mara Queirolo

(Articolo tratto da Il Secolo XIX del 30/08/2009)

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