Chiese storiche e passato rurale: un museo diffuso per Rezzoaglio

Storia, tradizioni, anche personaggi di una volta. A mettersi a scavare all’indietro nel tempo qualcosa si trova sempre. Ma più si è in superficie, più c’è da scavare. E scoprire.

Rezzoaglio prova a intraprendere questo percorso: il museo diffuso per ora è solo un progetto, ma lo statuto è pronto e le idee sono chiare. Piccola premessa: qui non ci si inventa niente. Ciò che sta funzionando in un luogo, può essere riproposto in un altro anche se tra le due realtà non ci sono troppe similitudini.

Chiedere per conferma a Paolo Pendola, dentista di professione, storico e studioso per passione. Da una sua idea a Santa Margherita è nato il museo diffuso del mare. Ora il progetto si sposta ai piedi degli Appennini. “Rezzoaglio e la val d’Aveto in generale hanno molto da dire e da raccontare – dice proprio Pendola-, parlo per esperienza diretta: personalmente conosco la valle da molto tempo. Se ne parla a livello turistico per la sua bellezza. Ma ci sono tutti i requisiti per aprire un filone storico e di tradizioni da mettere in rete una con l’altra. Non lo dico solo per i visitatori, ma prima di tutto per conoscenza stessa della gente della valle”.

Il materiale, dunque, c’è. Alcune pubblicazioni del passato lo hanno testimoniato. Le memorie storiche della valle come Carla Cella per la zona di Villa Cella e Sandro Sbarbaro come storico del territorio sono un’ottima base di partenza. Ma ora il progetto è mettere tutto questo sapere alla portata di quanta più gente possibile. La logica è quella rete, e dei supporti anche multimediali per collegare luoghi anche piuttosto distanti tra di loro in un itinerario organico e coerente…

Pendola ha presentato la sua idea di museo diffuso nell’ultimo consiglio comunale, mentre a fine mese dovrebbe essere votato lo statuto: “Qui ci sono cinquantatré frazioni e tutte hanno qualcosa di importante e curioso da raccontare -spiega l’esperto di storia locale-. Non è solo questione di monumenti, ma anche di vicende e persone”.

Pendola un suo contributo già lo ha dato restaurando e aprendo al pubblico la casa museo di sua proprietà nel territorio di Isolarotonda: “Ma forse non tutti sanno che la chiesa di questa frazione, oggi bene tutelato ma da sottoporre a recupero, fu la prima della valle e che qui lavorò il fiebotorno Enrile, una sorta di medico ante litteram – dice ancora Pendola. Ma io trovo affascinante anche la la storia della piana di Cabanne che secoli fa era una palude poì bonificata dai frati di Villa Cella. E se vogliamo allargare il campo non si può non pensare anche alla Cabannine e al loro formaggio come protagonisti della storia del Comune. Senza dimenticare anche veri e propri monumenti della civiltà contadina come ad esempio i barchi, cioè i vecchi fienili di cui esistono alcuni esempi”.

Ma cosa ci vuole per passare dalla carta ai fatti? “Si parte dalle cose semplici, come una segnaletica migliore, si può arrivare come nel caso di Santa Margherita alla realizzazione di un’applicazione per smartphone – spiega Pendola. Sarebbe auspicabile che nascesse un’associazione che promuovesse il museo diffuso. Un facsimile di una brochure con tanto di cartina l’abbiamo già stampata”.
Vale la pena sottolineare, però, che molti luoghi sono privati. E se ad esempio la chiesa di San Michele Arcangelo a Rezzoaglio (gli abitanti assicurano che il campanile in pietra sia il più alto di tutta la Liguria) è in buone condizioni, lo stesso non si può dire di altri edifici religiosi: “La Chiesa è proprietaria di molti di questi immobili, vedremo di aprire un dialogo anche se prima dovremo capire se confrontarci con la diocesi di Chiavari o Piacenza… chiude Pendola-.
Poi ci sono tanti ponti antichi anche poco conosciuti come quello di Casaleggio. In generale, tuttavia, quello che chiediamo anche a tanti proprietari di altri luoghi è solo la condivisione dell’immagine dell’immobile. Se poi questo progetto riuscirà anche a suggerire ad alcuni di aprire questi luoghi ben venga per il turismo. Ma prima, ripeto, è importante veicolare la conoscenza”.

Italo Vallebella

Articolo tratto da Il Secolo XIX del 09/05/2024

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