Nell’autunno del 1889 arrivò a Bobbio una viaggiatrice piuttosto insolita: era una signora anziana (per l’epoca), veniva dalla lontana Irlanda per fare ricerche archeologiche e portava con sé una ingombrante macchina fotografica e i materiali chimici per sviluppare le lastre. Si chiamava Margaret Stokes ed era nata a Dublino, nel 1832, da una famiglia colta e benestante. Grazie al padre e ad alcuni amici di famiglia, studiò l’arte antica irlandese e imparò le tecniche archeologiche. Dapprima mise a frutto le proprie capacità artistiche affermandosi come illustratrice. Successivamente, verso i cinquant’anni, finalmente libera da impegni familiari, ebbe modo di approfondire i propri studi sull’arte irlandese antica e iniziò un’intensa attività di ricerca archeologica, facendo anche un uso pionieristico delle tecniche fotografiche. Scrisse vari libri e fu membro della Royal Irish Academy e della Royal Society of Antiquaries of Ireland.
La Stokes venne in Italia nel 1889 spinta dal desidero di esaminare e riprodurre i reperti storici dei più importanti santi irlandesi operanti in Italia nei “secoli bui”, in primis S. Colombano. Due erano le sue finalità: trovare indizi per capire l’origine dello sviluppo dell’arte irlandese e onorare le figure di compatrioti che tanto avevano fatto per l’Europa.
Il resoconto di questo viaggio si trova in varie lettere contenute nel libro che pubblicò nel 1892, Six months in the Apennins, ricco anche di sue illustrazioni e foto. Leggendo queste lettere, possiamo seguire il suo soggiorno in val Trebbia e vedere vari luoghi della zona di Bobbio attraverso gli occhi di una colta ed insolita signora irlandese dell’epoca vittoriana.
Dopo aver studiato nella zona di Lucca le vestigia di S. Frediano, arrivò a Piacenza e dopo pochi giorni partì alla volta di Bobbio. Utilizzò il tram a vapore fino a Rivergaro (due ore!) , poi la diligenza fino a Bobbio. Il viaggio durò un’eternità, dalle due di pomeriggio alle 8.30 di sera, ma Margaret se lo volle godere tutto (“Sedetti a cassetta per tutto il viaggio”), osservando le persone (“Era giorno di mercato a Rivergaro e passammo file di paesani con cesti carichi di frutta e verdura di molti colori e lunghi carri con tetti rotondi fatti di stuoie”), i paesi ( “Molte colline erano sormontate da castelli medioevali. Il conducente mi indicò … Montechiaro … fino a che raggiungemmo un villaggio, di nome Travo, posto in un bel luogo. Questo paese ha due torri campanarie.” ) e il paesaggio ( “Passammo attraverso un paesaggio montano molto bello… Rimanemmo lungo il letto del Trebbia per tutta la strada. In certi posti è incredibilmente largo … Mentre discendevamo lungo la valle in testa alla quale sta Bobbio, il fiume era molto bello, tortuoso come un serpente, le sue acque scintillanti come argento al chiaro di luna e le sue rive fiancheggiate da lunghe file di pioppi”).
Dopo essersi sistemata all’albergo Croce Bianca di Bobbio, cominciò a predisporre l’occorrente per il lavoro tecnico ( “Presi una piccola stanza vicina alla mia camera per le mie fotografie e la trasformai in una camera oscura … spacchettando i miei prodotti chimici), quindi andò alla chiesa di S. Colombano dove diede le proprie lettere di presentazione ai “due preti in carica, che furono molto contenti di sentire che ero venuta a fare fotografie e mi diedero carta bianca di fare tutto ciò che volevo.”
Incoraggiata da questa accoglienza, la Stokes diede inizio a un intenso periodo di studio a Bobbio, esaminò la cripta della chiesa di S. Colombano nei minimi dettagli, prese fotografie, riprodusse oggetti storici con disegni e ricalchi, copiò iscrizioni e confrontò tutto quello che trovava con quanto risultava dalla storia tramandata del Santo e dagli scritti di studiosi della materia. Scoprì anche che era ancora presente una antica fontana divisa in due parti dal vecchio muro del monastero: una parte interna al monastero, ad uso dei monaci e l’altra esterna, ad uso della popolazione. Era una cosa notevole perché questa suddivisione corrispondeva a quanto stabilito in un decreto di re Agilulfo nel lontano 599. ( 1)
Successivamente perlustrò le altre vestigia rimaste in città: “Sono qui da dieci giorni e in questo posto incantevole ogni giorno ha portato nuove fonti di interesse”. Completata questa parte, arrivò quella più avventurosa: andare a studiare i due luoghi dove S. Colombano si ritirava in eremitaggio.
In queste occasioni andò sempre con una guida, che aveva anche il compito di portare l’ingombrante apparecchiatura fotografica.
“Domenica pomeriggio andammo in carrozza a La Spanna, il primo eremitaggio … A nord est di Bobbio, verso la cima di una montagna, si può vedere un grotta su una roccia a precipizio, distante alcune miglia dalla strada principale … Ci si deve avvicinare alla grotta con attenzione perché è posta in alto sulla parete.” Qui l’archeologa prese misure, formulò ipotesi sulle modifiche avvenute nel tempo e produsse fotografie e disegni. Le piacque molto la posizione della caverna: “San Colombano, seduto sulla soglia di questa grotta poteva così guardare in basso il suo vecchio monastero, distante tre o quattro miglia, annidato nella fertile valle chiusa da questi imponenti appennini e seguire il serpeggiare argenteo del fiume, che qui è così tortuoso come è rappresentato l’Arno da Botticelli nel suo dipinto dell’Assunzione della Vergine.”
Più difficile fu raggiungere il secondo eremitaggio, quello in cui morì S. Colombano. “Secondo la tradizione, il santo andava lì seguendo un percorso che passava dalla piccola chiesa di S. Salvatore, e da qui cominciava la sua salita. La sua difficile scalata durava tre ore.” Dopo un primo insuccesso ( “Avevamo una guida stupida che non conosceva la strada, e dopo esserci arrampicati qui e là per circa due ore, tornammo alla strada.” ) il secondo tentativo andò a buon fine e fu molto apprezzato dalla Stokes: “ Una delle più grandi avventure della mia vita fu la spedizione che intrapresi da sola, con un vecchio come guida, all’oratorio e alla grotta nella quale si dice Colombano si ritirò a morire.” Arrivata dopo un percorso difficile, la Stokes fece un accurato esame delle vestigia rimaste, molto rovinate dal tempo e dal terreno franoso, seguendo il metodo di lavoro già utilizzato a Bobbio. Ci furono tuttavia alcuni problemi: “Trovai la grotta nella quale si dice il santo abbia dormito – un altro buco. Non riuscii a fotografarla. Non c’era letteralmente nessun posto in cui potessi fissare la macchina fotografica.” e anche “ Alcune delle gole erano prive di vegetazione, buie e tetre, e più pericolose da percorrere, così fui contenta di ingaggiare una seconda guida, una guardia forestale che avevamo incontrato durante la salita, che quasi mi trasportò di peso giù dal dirupo.” Rimase comunque incantata dalla bellezza del paesaggio autunnale della val Trebbia: “Sono quasi innamorata degli Appennini e penso che essi siano molto più pittoreschi e più belli come gamma di colori , non solo all’alba e al tramonto, ma in ogni altra ora del giorno, di quanto credo siano le Alpi … L’effetto dei colori autunnali nei boschi è più straordinario; gli alberi sono generalmente querce, ginepri, castagni e alberi di Giuda. Le foglie delle querce qui diventano perfettamente dorate, mentre quelle delle castagne e degli alberi di Giuda sono semplicemente come fatte di fuoco – non ho mai visto un tale rosso. Il risultato è che nel profondo del bosco, anche a mezzogiorno, l’aria sembra impregnata da una luce serale.”
Da ultimo Margaret volle andare a vedere una croce, scavata in un blocco di marmo, sulla quale si credeva fosse solito pregare San Colombano: “Visitai il gentile prete che aveva in carico questa pietra alla chiesa di S. Vito e S. Modesto a Coli e, con il suo aiuto, feci un ricalco del monumento.”
Con questo sostanzialmente terminò il lavoro della Stokes a Bobbio, ma in città rimase il ricordo di questa visita così particolare e alcune di famiglie bobbiesi riuscirono ad entrare in possesso di una copia del suo libro.(2)
La descrizione molto accurata che l’archeologa fece della cripta della chiesa di S. Colombano e degli oggetti contenuti in essa è una miniera in informazioni molto utili anche per gli studiosi dei nostri giorni perché successivamente alla sua visita, nel 1910, l’assetto della chiesa venne modificato in maniera sostanziale; interessanti, ancora per motivi storici, sono alcune sue vedute di Bobbio (foto e disegni a matita) e del primo ponte del Barberino. Quello però che forse colpisce di più il lettore sono le descrizioni del paesaggio della valle (di cui qui si sono dati solo pochi cenni) e anche la tenacia e la competenza con cui una signora di buona famiglia dell’epoca vittoriana seppe muoversi e lavorare con tecniche pionieristiche, in luoghi a volte molto disagevoli, grazie anche alla collaborazione offerta dai valligiani.
1 In http://www.ilnotiziariobobbiese.net/wordpress/?p=772 si può leggere un articolo del 1958 contenente la storia completa del pozzo, recuperato in quell’anno; le due foto contenute nell’articolo sono della Stokes, tratte da Six months in the Apennins.
2 Attualmente è possibile leggere Six months in the Apennins scaricandolo gratuitamente da internet.
Articolo gentilmente inviatoci da Mariairene Guagnini
Related Posts