Il mito degli elefanti di Annibale è ancora radicato nella cultura popolare delle valli piacentine

La mostra “Annibale, un mito mediterraneo” – a Palazzo Farnese di Piacenza fino al 17 marzo – rinnova memorie di eventi intensamente e drammaticamente vissuti nel corso della seconda guerra punica nel nostro territorio. Gli eserciti cartaginesi, guidati la prima volta da Annibale, poi da altri generali tra cui i suoi fratelli Asdrubale e Magone, vi passarono almeno quattro volte nel corso dei 16 anni di guerra. Quegli eventi, mantenuti vivi dalla tradizione orale, intrecciati all’ambiente, sono molto radicati nel nostro patrimonio culturale popolare. La traversata delle Alpi di Annibale (ottobre 218 a.C.) con un esercito di 26mila uomini e 37 elefanti da guerra, effettuata in 15 giorni, fu di un’audacia indescrivibile e di enorme impatto… mediatico (se ne parlò allora in tutto il mondo conosciuto e se ne parla ancora oggi). Furono gli elefanti, bestioni dai 2-3 metri di altezza, mai visti né pensati dai residenti, a imprimere nell’immaginario collettivo le impressioni più forti e sconvolgenti. Dal canto suo anche l’esercito cartaginese si trovò ad affrontare situazioni tremende, cui non era abituato né preparato, dovute ai rigori del clima, alla neve, al gelo, alle impervie salite e discese, alle frane e alle valanghe. Tutto condiviso con gli elefanti. Le inenarrabili fatiche cui furono sottoposti li decimarono. Solo 21 dei 37 elefanti partiti arrivarono in Italia. Furono protagonisti nella battaglia della Trebbia combattuta intorno al solstizio d’inverno del 218 a.C. e vinta in modo schiacciante dai cartaginesi. L’aspetto dei pachidermi, i loro barriti, l’insolito odore, già bastavano a seminare panico e terrore tra i soldati romani, che comunque ne misero in fuga e uccisero parecchi, ferendoli “sotto la coda laddove hanno più molle e penetrevole la pelle”. Agli elefanti sopravvissuti alla battaglia fu ben presto fatale il rigido inverno, tanto che entro l’anno morirono tutti. Tutti tranne uno, Surus (il siriano), l’elefante personale di Annibale, il più grosso e resistente. Superò l’inverno del 218. Morì l’anno successivo durante il trasferimento in Etruria dell’esercito cartaginese.

L’ELEFANTE DEL TREBBIA
Esistono ancora memorie tangibili di quegli elefanti? Fantasia, arte, passione per la storia, hanno dato corpo a quelle reminiscenze innescate dagli eventi e colorate dai secoli con tinte da leggenda. Così è avvenuto per “Surus, l’elefante del Trebbia”, riconosciuto in un meandro del Trebbia, al km 76,4 della Statale 45 di Valtrebbia, sotto il paese di Cerignale, il 7 aprile 2009, da un fantastico colpo d’occhio del fotografo e video-maker Paolo Guglielmetti.

L’ELEFANTE DI TUNA
Nella primavera del 2010 il Rotary Valli del Nure e della Trebbia, con la col-laborazione del Comune di Gazzola, in ricordo della battaglia della Treb-bia, combattuta nell’area compresa tra Rivergaro, Gragnano, Gossolengo e Agazzano, ha collocato una grande statua di elefante in vetroresina nei pressi del ponte di Tuna. Gli studi del geologo Giuseppe Marchetti relativi all’antico corso della Trebbia sono stati essenziali per superare le incongruenze tra il racconto della battaglia descritto da Tito Livio e Polibio e l’attuale assetto dell’alveo fluviale.

LO STEMMADI GOSSOLENGO
Un elefante e il fiume Trebbia sono presenti nello stemma del Comune di Gossolengo, approvato l’11 marzo 1991 con decreto del Presidente della Repubblica. È chiaro il riferimento alla battaglia della Trebbia del 218 a.C. tra Annibale e il console Tiberio Sempronio Longo, combattuta nei pressi.

ELEFANTI VERSO BRUGNELLO
Un elefante e un elefantino, realizzati coi sassi del Trebbia, appaiono a chi si inerpica sulla strada sterrata che da Marsaglia porta a Brugnello. Nuova recente fisionomia è stata data al paese da Pinen, ex postino, artista locale, artista del cuore. Lo ha decorato con mosaici, sculture, intarsi, disegni e ornamenti nel lastricato delle stradine, col materiale che più aveva a disposizione: i sassi del Trebbia. Gli elefanti sono opera sua.

Isella Follin

(Articolo tratto dal N° 6 del 14/02/2019 del settimanale “La Trebbia”)

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