Intitolazione del Guado di Sigerico a San Colombano e Sigerico

La cerimonia ha avuto luogo a Sopra Rivo di Calendasco, domenica, 5 luglio 2020

Intervenienti: Il Vescovo di Piacenza,  Mons. Gianni Ambrosio, Officiante;  Parroci di Calendasco e Riva Suzzara (Mantova).   Sindaci di Calendasco, Gragnano Trebbiense, Gazzola, Agazzano, Bobbio (Provincia di Piacenza).  Sindaci di Orio Litta, Senna Lodigiana, San Colombano al Lambro, Monticelli Pavese (Provincia di Lodi).  Folto pubblico.   Tra le Autorità:  l’Avv. Corrado Sforza Fogliani, Presidente Esecutivo della Banca di Piacenza.   Tra gli Studiosi: l’Avv. Marco Corradi, ricercatore, divulgatore.

Il monastero di S. Colombano a Bobbio iniziò la sua storia nel VII secolo.  Agilulfo (591/616), re dei Longobardi, aveva donato al monaco irlandese, come noto, il Monte Penice e il territorio circostante per alcune miglia.    Riscontrarono o ampliarono la primitiva concessione i successivi sovrani di quel popolo, praticamente tutti, fino a Desiderio (757/774).  Molto generosi sono stati Adaloaldo (616/626), Rotari (636/652), Grimoaldo (662/671), Liutprando (712/744)…  Quei potenti consentirono a Bobbio di espandersi ampiamente e radicarsi nel Nord Italia, tra mar Ligure e Adriatico.    I Longobardi, con le riforme politiche di Autari Flavio (584/590) e del nominato Agilulfo, passarono da una organizzazione frazionata del potere, livello di Clan, a nazione, avente un Re, una Capitale, una Religione.   Capitale fu Pavia, non lontana da Bobbio e Bobbio ne divenne, fin dall’inizio della sua fondazione monastica, principale riferimento culturale.  Soprattutto, in materia giuridica; tecnico/amministrativa, supporto sicuro e continuativo.   Una specie di “Consiglio di Stato” della nostra attuale Repubblica,   in grado di esprimere dotti pareri, elaborare leggi e sentenze.  Formalizzare norme  e atti del  Regno, sostenendoli con perizia e competenza in qualsiasi contesto.   Si potrebbe dire che l’attuale Università di Pavia abbia avuto embrione fondativo in Bobbio di Val Trebbia!
L’editto di Rotari (643), imponeva ai sudditi di tralasciare la Faida per il Guidrigildo (Dalla Vendetta Privata alla Giustizia Regia): anche quei conquistatori, “Etiam germanica ferocia ferociores” (più feroci della ferocia germanica), cominciavano a diventare (sarebbero diventati), finalmente, da barbari anarchici e riottosi, sudditi ordinati.  E ciò nella luce e prospettiva di Roma, riferimento assoluto per il  Diritto;  della Chiesa per quanto attiene a Umanità e Religione.   Tale editto fu elaborato, proprio, dai dotti monaci bobbiesi.   Alla nostra città l’onore e il vanto di esserne stata sede matrice.
Il re Liutprando, ritenuto il miglior sovrano longobardo, era religiosissimo. Grande amico ed estimatore del dotto abbate bobbiese Cumiano (Scozia VII sec./Bobbio VIII), alla cui memoria dedicò la preziosa lapide omonima, conservata nel Museo della Città.   Consapevole della pericolosità dei tempi, volle salvaguardare le ceneri di Sant’Agostino (354/430), Padre e Dottore della Chiesa, deposte provvisoriamente in Sardegna.  Nell’isola la loro condizione era precaria, specie per le crescenti incursioni di Vandali e pirati saraceni.  Le acquistò a caro prezzo,  trasferendole dall’isola a Pavia.   Nella sua capitale attese alla costruzione della basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, per disporre di sepolcreto degno delle reliquie del Santo Vescovo, ivi traslato.   Annesso alla chiesa fu realizzato anche un monastero allo scopo di raccogliervi le numerosissime opere del  grande Pensatore Cristiano.  Conservarle, studiarle, diffonderle.  Con particolari liturgie e competenze esaltare la figura di Agostino, Gigante universale di teologia e letteratura.  Estrinsecarne fatti, riscontri; indirizzi, prospettive.   La gestione di convento e chiesa fu assegnata ai religiosi di Bobbio, tradizionali fiduciari regi.
Per consentire alla nuova Basilica di San Pietro autonomia economica; sviluppo e prosperità,  ampli territori furono annessi a quell’Ente: da Pavia a Carasco, nel Levante Ligure.  Passando per Ponte Organasco o Zerba, Ottone (sede di fortilizio), in Val Trebbia;  Orezzoli (sede di Xenodochio), Vico Soprano, Alpepiana… in Val d’Aveto…   Nell’Oltre Po  Lodigiano furono messi a disposizione territori fertilissimi e molto redditizi, negli attuali Comuni di Fombio e San Fiorano.
Il Beato Colombano  era stato investito del Bobbiese,  a Milano o Pavia, circa un secolo prima.   Durante il viaggio per raggiungere i territori assegnati in Val Trebbia, fondò sul fiume Lambro, prossimo a mescolare le sue acque al grande Po,  la città che ne porta  il nome.   “San Colombano al Lambro”,  non ha mai dimenticato il suo fondatore e ne mantiene vivo il culto e preziosa la memoria.  Sempre si compiace di detta ascendenza ed ha con il Santo Irlandese filiale, affettuoso legame.    Il  Vescovo Gianelli (1789/1846), aveva  molto a cuore detta cittadina e spesso la citava nei suoi scritti.
La benemerita “Associazione Europea del Cammino di San Colombano” ha in Bobbio la sua sede e nel dottor Mauro Steffenini, l’attuale Segretario Generale, l’animatore molto attivo e stimato.  Il dott. Steffenini,   residente nella città di San Colombano al Lambro è, inoltre, Presidente della locale  “Associazione Amici di San Colombano per l’Europa”.
Il Monastero di Val Trebbia da tempo disponeva di beni, esercitava diritti, deteneva privilegi a Calendasco e nel Piacentino.      Calendasco, addirittura, fungeva da porto bene attrezzato per imbarcazioni dirette in lungo e in largo sul Fiume Po.   Così i possessi monastici bobbiesi tra Lodi e Piacenza, nuovi ed antichi, non subivano cesure: le navi monastiche erano salda cerniera tra i vasti suoi territori sparsi sulle due opposte sponde affacciate sul Po.    Tanto era radicato il culto e la popolarità di San Colombano, sulle due riviere, che il nome del nostro Santo, ancora oggi,  è collegato ad una diffusa tradizione:  Avrebbe liberato le terre acquitrinose tra Po e Lambro, il cosiddetto “Lago Gerundo”, dal terribile drago  Tarantasio,  capace di uccidere uomini ed animali con il suo soffio pestilenziale.
Caduto il regno Longobardo ad opera dei Franchi (774/76), divenuti i Carolingi  “Reges Francorum et Longobardorum (Re dei Franchi e dei Longobardi)”, Bobbio non solo mantenne i suoi privilegi;  prerogative e diritti, ma li accrebbe.   Carlo Magno (800/814), suo Figlio Lodovico I il Pio (814/840), ebbero interessi a Bobbio, feudo imperiale, importante anche militarmente.   Il Codice Diplomatico redatto da Buzzi e Cipolla, parla di suoi numerosi soldati, distribuiti in “Castra” e  “Rochae”, accampamenti e caserme.  Parla, inoltre, rarissimo caso, di una sua flotta per la navigazione fluviale.
Con gli imperatori Sassoni la fondazione monastica di Val Trebbia raggiunse la massima protezione imperiale e la sua massima espansione territoriale, pur manifestandosi i prodomi di grave crisi interna, purtroppo, non più rimediabile.  Ottone I  (962/973), emanò importanti normative a favore di Bobbio.     Ottone III  (996/1002), fu prodigo di consigli ed iniziative e molto interessato alla salvaguardia del patrimonio librario dell’Abbazia.   Ottone III era stato alunno di Gerberto d’Aurillac (940/50//1003), Abbate del nostro Monastero in Val Trebbia, poi Papa Silvestro II (999/1003).    Enrico II (1014/1024),  elevò Bobbio a città e sede Vescovile (1014), rendendola territorio ecclesiastico sullo stesso piano giuridico di Piacenza, Tortona, Pavia e Genova.
Verso  la fine dell’XI secolo l’arcivescovo Sigerico da Canterbury si recò a Roma, “Ad Limina Apostolorum”, per ricevere l’ambito palio.   Di certo sarà stato accompagnato da armati e famigli, come proprio dei potenti in viaggio.   Al ritorno il Presule annotò puntualmente le tappe compiute. Nel Piacentino la tradizione indica la zona di Sopra Rivo, in Comune di Calendasco, presumibile guado.      Un tratto di fiume e connesse sponde che da diversi secoli già osservavano l’intensa presenza di Bobbio e il movimento dei traffici e commerci fluviali di Bobbio e della sua gente.
L’aver aggiornato il nominativo “Guado di Sigerico” con “Guado di San Colombano e Sigerico” nulla toglie all’Arcivescovo inglese, ma rende  giusta memoria e dovuto riscontro a San Colombano e alla sua fondazione di Val Trebbia;  parte antica, importantissima, della Civiltà d’Occidente.

FONTI e DOCUMENTI.
Dal Codice Diplomatico del Monastero di San Colombano di Bobbio fino all’anno MCCVIII;   Istituto Storico Italiano – Fonti per la storia d’Italia.  A cura di Carlo Cipolla vol. I e II;  Giulio Buzzi  vol. III  –  Roma  Tipografia del Senato – Palazzo Madama 1918:
LX     (pag. 172/173)
(860), ottobre 7;   Marengo palazzo regio:
“A Lodovico (II), imperatore furono da Amalrico I  vescovo di Como e abbate del monastero di Bobbio presentati i diplomi dei re longobardi Agilulfo, Adaluvaldo, Grimoaldo, Cuniberto, Liutprando, Ratchis, Astolfo e Desiderio, nonché quelli di Carlo (Magno), di Lodovico (il Pio), di Lotario (I), per cui quest’ultimo imperatore ricevette Ildavino (predecessore di Amalrico), arcivescovo di Colonia sotto la sua difesa.    L’imperatore Lodovico acconsente alla preghiera di Amalrico perché siagli concessa l’immunità e riceve il monastero sotto la sua immunità e protezione, minacciando pena per i contravventori.   Ancora conferma al monastero (omissis).  Concede IL LIBERO TRANSITO DELLE NAVI LUNGO IL FIUME PO E TICINO  (Liberum transitum habeant naves huius monasterii per Padun et Ticinum)” … omissis.

LXXXI      (pag. 272/273)
903, settembre 11;   “curte Sulcia”, presso la chiesa di S. Pietro.
“Berengario (I) re, avendogli, coll’intervento di Bertila sua coniuge e consorte nel regno, Teodelassio abbate di Bobbio e la sua congregazione mostrati i privilegi apostolici e i precetti dei re longobardi   (omissis),  nonché  quelli  di Carlo (Magno), di Lotario (I), di Lodovico (II), suo figlio, di Carlomanno, di Carlo (III) e di Arnolfo, con cui i concedenti avevano ricevuto sotto la loro tutela il monastero, i suoi possessi, i suoi uomini fossero, liberi, servi o coloni, colle loro famiglie, egli li conferma per riverenza ai santi apostoli Pietro e Paolo, in onore il monastero fu fondato, e dei santi confessori Colombano, Atala e Bertulfo che colà sono sepolti, per l’intervento di Bertila e le preghiere di Teodelassio.   Fa seguire l’elenco nominativo dei luoghi, i quali formano oggetto della conferma.   Concede CHE LE NAVI DEL MONASTERO ABBIANO LIBERO TRANSITO PER IL PO E IL TICINO   (Omissis)       Concede ALL’ABBATE IL DIRITTO DI MERCATO…   (Omissis).

XCVI
972,  luglio 30;  Milano, nel monastero di S. Ambrogio
“Ottone I imperatore, coll’intervento di Adelaide sua coniuge e consorte dell’impero, in favore di Guberto, prevosto del monastero di Bobbio, dedicato ai santi Pietro e Paolo, e dove riposano le reliquie dei Santi Colombano, Attala e Bertolfo, conferma una lunga serie di possessi;  Concede ALLE NAVI DEL MONASTERO IL LIBERO TRANSITO PER IL PO E IL TICINO…  (Omissis).

Franco Fraschini nell’interessantissima sua pubblicazione: Fombio Dalle antichità ai nostri giorni – Parrocchia di  Fombio 2000;
pag. 11 e seguente, scrive: “Nelle antiche cronache si racconta che il re dei Longobardi, Liutprando, nel 725 donò al monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro, fondato, forse da lui stesso in Pavia, molti beni e proprietà, tra cui la villa di Fombio.   Lo storico lodigiano Giovanni Agnelli a tal proposito scrisse: ‘La chiesa di Fombio è probabile che venisse eretta da Liutprando stesso, se poté tanto facilmente e liberamente farne la cessione e sottoporla al monastero pavese.  Era fabbricata secondo il Goldaniga, fuori dall’abitato, in una località tra San Fiorano e Retegno.   La donazione di Liutprando fu confermata il 9 aprile 962 dall’imperatore Ottone I”   (Omissis).

Attilio Carboni

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