La vita del contadino in Valdaveto, povera, stentata ma ricca di umanità

La storia contadina è millenaria anche se il contadino oggigiorno viene considerato persona di serie B, ma con le sue fatiche e i suoi sacrifici ha dato e dà da mangiare anche alle persone di serie A.
Che mi rammarica è quando figli di contadini o avendo in passato fatto il contadino essi stessi, cercano di rinnegare le loro origini.
Io sono figlio di contadini, ho fatto il contadino e lavori più umili e ne vado fiero.
Vorrei partire dal dopo guerra collegando i miei ricordi sul contadino dell’Aveto.
Con il mio lavoro di mulattiere ho girato la valle in lungo e in largo assistendo alle loro immani fatiche. In primavera comin­ciavano con l’aratura dei campi, prima però il ter­reno andava concimato col letame del loro bestiame. Qualcuno lo trasportava con muli, cavalli, asini oppure trainato da buoi, mucche, cavalli; ma la stragrande maggioranza lo trasportava sulle spalle in una specie di cesta chiamata “vallo”.
L’aratura veniva fatta con buoi, mucche o cavalli; ma anche questo lavoro in maggioranza veniva fatto con la zappa, seguiva poi la semina di patate, grano­turco, foraggi, ortaggi con tutta la loro lavorazione. Nel frattempo avveniva la pulizia dei prati e dei pascoli con rastrello o “scuazzo”.In estate la falciatura del fieno veniva fatta con la falce “curiatta” e la falcetta “messuria”.
Il bestiame a quei tempi era numeroso e il foraggio scarseggiava, perciò i contadini di alcuni paesi per procurarsi il minimo necessario dovevano raggiungere la montagna che certe volte distava anche due o tre ore, per procu­rarsi un fascio di fieno, e quasi sempre trasportato sulle spalle. Vorrei sottoli­neare che i fasci si aggira­vano sul quintale, se non più. Per trasportare i pesi sulle spalle gli uomini usavano il “paggetto” un sacco imbottito di paglia o di foglie; le donne il “suttesto” una vecchia calza imbottita di lana, cucita in cerchio adagiata sulla testa, tutto questo per ammortizzare il peso che sulle spalle gravava.
In luglio ed agosto seguiva la mietitura del grano, avena e orzo, tutto manualmente con la falcetta; a settembre la raccolta delle patate, l’aratura e la semina del grano, in quel periodo si raccoglievano anche mele e pere, seguivano le noci, frutti che venivano conservati per i lunghi inverni di allora.
In seguito la raccolta delle castagne da cui si ricavava la farina, deter­minante in alcuni paesi, oggi molto richiesta.
In questo contesto non va dimenticato il bestiame, la loro fonte più redditizia, che comportava impegno e fatiche non indifferenti. Si doveva far pasco­lare, accudire, mungere le mucche, le capre e le pecore; seguiva poi la pre­parazione dei formaggi, prelibatezze molto rino­mate conosciute anche oltre oceano.
Per arrotondare e far quadrare il bilancio fami­liare, alcuni uomini face­vano il boscaiolo. Allora non c’erano motoseghe, le piante venivano tagliate con la “scure” oppure con una grossa sega chiamata “resegun”, e il “penatto” per sminuzzare. Screpolate le mani da zappa, falce o scure, dalla fronte colava il sudore.
Altre persone specialmente le donne in estate raccoglievano frutti silvestri fragole, lamponi, mirtilli. A proposito di mirtilli vorrei spendere due parole a favore di alcuni ragazzi di allora, specialmente di Casafredda, qualcuno di Costapelata e dintorni, che a raccogliere i mirtilli andavano anche sul piacentino, precisamente nei pressi del Lago Nero nel comune di Ferriere. Trasportati sulle spalle in casse di legno, fino a Gramizza nel comune di S. Stefano d’Aveto, dove vi era il centro raccolta, per un tragitto di oltre tre o quattro ore, il peso si aggirava tra i cento e i centocinquanta chilogrammi a persona. La raccolta veniva fatta con una raspa in ferro chiamata “rappin”.
Finita la stagione nulla avevano più di umano, che quattro ossa sotto un panno.
Nel periodo invernale tanti giovani e non, migra­vano a Milano dove alcuni facevano i fuochisti nelle caldaie a legna o carbone, altri nelle botteghe dove si vendeva legna e car­bone, servendo i clienti a domicilio con sacchi o ceste, spesso al 5° o 6° piano privi di ascensore, e se c’era non si poteva usare perché i carbonai erano troppo sporchi. Si dormiva per lo più nei bassifondi, pregni di umidità e privi di strutture igieniche. Molti di questi ragazzi specialmente nel comune di Rezzoaglio si sono poi stabiliti in città.
Le donne invece scendevano sulla riviera ligure a raccogliere le olive per un misero litro di olio al giorno.
Amareggia che tutti questi sacrifici fatti senza mezzi meccanici, versando sangue e sudore, consegnando alla nostra generazione una valle che sembrava quella dell’eden, ora per colpa di amministrazioni, istituzioni e chi va predicando di tutelarci, abbiano contribuito allo sfascio, sia naturale che anagrafico, della nostra valle e quelle adiacenti, tra molte lacune disinteressandosi anche dei fallimenti delle cooperative lattiere con la perdita di milioni di lire a centinaia di contadini.
Ultimo regalo la beffa dallo Stato, migliaia di euro di multa ad alcuni contadini ignari dell’irregolarità delle loro quote latte, non retribuito. Alcune di queste persone defunte, ai parenti l’amara sorpresa.
Confidiamo che questo inconveniente venga risolto senza troppi danni, una vera vergogna.
Io personalmente di questo sistema sono nauseato, ma il passato non l’ho dimenticato.

Pino Tosi

(Articolo tratto dal N° 14 del 19/04/2007 del settimanale La Trebbia)

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