La valle più bella del mondo

Si sente spesso raccontare che Ernest Hemingway percorse una volta la Valtrebbia e la valutò poi come “la più bella valle del mondo”. Da ultimo lo ha ricordato il sindaco di Bobbio Roberto Pasquali in un’intervista di presentazione dell’opuscolo diffuso quest’anno “Bobbio città d’Europa” (“.. .e poi c’è il Trebbia, il fiume caro ad Hemingway”). Qualcuno si è spinto a dire che il giudizio dello scrittore americano andava più precisamente riferito alla Valdaveto.
A questo proposito sul numero del 28/9/1995 di questo settimanale l’emerito Grande Ufficiale Gianni Calamari ebbe a scrivere: “Correva l’anno 1945, quando una colonna motorizzata di truppe della liberazione, proveniente da Chiavari per Piacenza, transitava per l’impervia strada di fondo Val d’Aveto, superato a stento il ponte interrotto sul rio Morano nei pressi di Boschi. Era lì in colonna anche Hemingway, allora corrispondente di guerra americano, il quale giunto a Marsaglia aprì il suo diario e scrisse in grande, «oggi ho attraversato la valle più bella del mondo».
“I soldati rimasero fermi a Marsaglia per parecchio tempo in attesa che fosse aperto un varco verso Bobbio, essendo i ponti interrotti, e pare che quel tempo fosse stato provvidenziale per il reporter, potendo così ogni giorno tornare sui suoi passi a rivisitare e bearsi della valle più bella del mondo”.
Va detto che queste asserzioni – forse perché inserite in un articolo celebrativo della festa di San Rocco ad Orezzoli – passarono inosservate.
Per conto mio posso escludere che l’esercito alleato sia mai passato per Bobbio nella primavera-estate del 1945.
Ma – come già ha puntualizzato Ennio Concarotti sul numero del 24 luglio 2002 de La Voce di Piacenza – in nessuna opera di Hemingway risulta scritta un’affermazione di inarrivabile bellezza della Valtrebbia oppure della Valdaveto.
Sì è cercato peraltro di verificare se Hemingway sia almeno passato per la Valtrebbia. Nel bozzetto “Che ti dice la patria”, inserito ne “I quarantanove racconti” (Oscar Monda­dori, pagg. 297 e segg.), lo scrittore parla di un viaggio in Italia compiuto sul finire degli anni venti a bordo di una Ford coupé lungo la riviera ligure e proseguito per La Spezia, Pisa, Firenze, Rimini, Forlì, Imola, Bologna, Parma, Piacenza e di nuovo a Genova e Ventimiglia per ritornare in Francia. Dunque Hemingway da Piacenza andò a Genova ma su quella tratta non scrisse alcunché.
È lecito ipotizzare che l’avventuroso romanziere abbia preferito percorrere con la sua automobile la tormentata, malagevole e poco frequentata strada della Valtrebbia anziché utilizzare il più comodo ed assistito tracciato di Voghera e Serravalle. E se risalì la Trebbia perché non pensare che Hemingway abbia dato quel giudizio discorrendo – magari un po’ ebbro – con un oste o con un trattore, il quale poi lo divulgò; non dimentichiamoci che Hemingway – a riprova della sua inclinazione a dare giudizi superlativi – ebbe a definire, nel racconto “Il mio vecchio”, il paesino francese di Maìsons-Lafitte “il più bel posto che io abbia mai visto in tutta la mia vita”.
Diverso tempo fa, un pomeriggio di una tiepida giornata autunnale, parlai di questa leggenda con un vecchio notabile bobbiese; era seduto su una panchina di piazza San Francesco in attesa della corriera che sarebbe arrivata da Ottone ed avrebbe dovuto condurlo a Piacenza.
“Cosa c’è di vero?” – gli chiesi. Il vecchio notabile sorrise, poi disse: Non hai mai giocato da bambino a passaparola? ti ricordi? uno sussurrava nell’orecchio di un secondo qualche parola; il secondo sussurrava al terzo quello che gli pareva dì aver sentito; il terzo al quarto e così via; l’ultimo ad alta voce diceva quello che aveva capito e che non corrispondeva mai alle parole originarie: per esempio “peperone” diventava “calzone”; “giochiamo a palla” diventava “restiamo a galla”.
Lo guardai con aria interrogativa; non capivo. Il vecchio notabile proseguì: “Nella tradizione orale avvengono sempre dei fraintendimenti più o meno involontari; vedi a Bobbio Hemingway non passò mai, né nel corso degli anni venti né alla fine della seconda guerra mondiale; ci passò invece qualche decennio prima, era l’epoca della spedizione in Libia del 1911, Henry James…”. Non mi trovai impreparato sul nome: “Henry James? – lo interruppi – il romanziere statunitense divenuto cittadino inglese? L’autore di Daisy Miller e di The turn of the screw? Quello che la critica letteraria ha definito come il più grande scrittore di banalità metafisiche?”
“Proprio lui – continuò il vecchio notabile -arrivò da Genova, si fermò un giorno a Bobbio e pernottò all’albergo Barone; se fosse ancora vivo tuo nonno te lo potrebbe confermare. Con il passare del tempo, dopo la morte di Henry James nel 1916 e l’ascesa nel firmamento letterario di Ernest Hemingway il nome Henry James venne storpiato in Hemingway”.
La corriera era arrivata ed il vecchio notabile vi salì; ma s’affacciò ancora al finestrino e cantilenò “enry james – enrigems – emingem emmgvei – hemingway”.
“Ma almeno lui – gridai – disse o scrisse che la Valtrebbia era la più bella valle del mondo?”. Il vecchio notabile ebbe ancora il tempo dì aggiungere: “Questa è un’altra storia; ne riparleremo!”. Sentii ancora una parola inglese ripetuta più volte; forse disse “the american, the american” non ne sono sicuro. La corriera riprese il suo cammino e poco dopo scomparve dietro la Madonna dell’Aiuto.
Non rividi mai più il vecchio notabile bobbiese.

Costanzo Malchiodi

(Articolo tratto dal N° 44 del 11/12/2003 del settimanale La Trebbia)

 

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