Il ballo della Povera donna

La Povera donna è un ballo arcaico di carattere grottesco, documentato, allo stato attuale delle ricerche, nelle valli Staffora, Curone, Grue e Borbera, vale a dire sui versanti pavese e alessandrino delle Quattro Province.
Di questo ballo, tuttora eseguito frequentemente in varie occasioni festive e rituali, esistono diverse varianti, alcune delle quali più formalizzate in senso coreutico, altre nelle quali prevalgono gli aspetti spontanei e grotteschi, pur all’interno di modalità caratterizzate e riconducibili ad una gestualità “tradizionale”.
Nelle valli Staffora, Borbera e Curone troviamo l’esecuzione in coppia (due uomini, uno dei quali impersona la figura femminile, oppure un uomo e una donna), con una prima fase di “corteggiamento” con l’uomo che si fa avanti e la donna che alterna atteggiamenti di invito e dì ritrosia; una seconda fase in cui le due figure si abbracciano e sì abbassano fino talvolta a rotolarsi a terra con allusioni o simulazioni più o meno esplicite dell’accoppiamento; una terza e ultima fase con i ballerini che, dopo essersi rialzati di scatto, eseguono il balletto conclusivo.
Nelle sole valli Borbera e Curone era (ed è tuttora, per quanto riguarda la val Curone) diffusa l’esecuzione in gruppo (tutti uomini). Nella prima fase le figure ballano in cerchio tenendosi per mano o cingendosi le spalle con le braccia, oppure a coppie separate, quindi le coppie inscenano le solite simulazioni a sfondo sessuale in corrispondenza del “lamento” dei piffero (simulazioni che assumono spesso caratteri osceni molto accentuati), concludendo con il balletto finale. A volte il bailo è eseguito da tre persone che iniziano insieme, per lo più tenendosi per mano, con la terza persona che si stacca al momento dell’esecuzione della fase pantomimica.
In val Grue (Garbagna) era presente una variante alquanto significativa del ballo, eseguito in coppia da un uomo e una donna. La seconda fase prevedeva infatti in maniera più esplicita la simulazione dei decesso da parte della figura maschile, i tentativi di rianimazione e il lamento cantato sulla melodia del piffero da parte della figura femminile; nella terza fase la figura giacente sì rialzava e la coppia eseguiva il balletto.
Nella gran parte delle versioni documentate, e in tutte quelle attualmente praticate a nostra conoscenza, il ballo della Povera donna, diversamente dagli altri esempi di balli carnevaleschi di morte e resurrezione di cui abbiamo parlato, non prevede propriamente un momento di totale inerzia del ballerino, un giacere a terra a guisa di cadavere. Sembra invece prevalere un simbolismo di tipo erotico, la simulazione dell’abbraccio amoroso, una morte allegorizzata dalla rappresentazione del suo eterno opposto, oppure un’azione dì rigenerazione di un principio decimante ad opera di un apporto vitalistico.
L’aspetto di coreutica funebre è invece ben evidente in una versione del ballo eseguita un tempo a Garbagna (val Grue), stando alla narrazione di Egidio Rovelli secondo il quale il “marito”, stramazzato al suolo…tira gli stinchi, si allunga lì, e la moglie tutta disperata gli gira intorno tirandosi i capelli e dice (cantato a tempo di monferrlna): “Oh povra mì che mi è morto il me Tugnin / Oh povra dona mi che mi è morto il mè Tugnin…” e poi a un bel momento, taci, si alza in piedi e fanno il ballo… Io l’ho sempre vista ballata così…
Questa versione del ballo della Povera donna di Garbagna è documentata da un video girato dalla ricercatrice Annalisa Scarsellini e dal pifferaio e ricercatore Stefano Valla nell’estate del 1986 nel corso dì una festa a Garbagna. Egidio Rovelli interpreta la parte del marito moribondo, giacendo a terra nella fase del lamento, benché non in stato di totale immobilità come nel caso dei balli affini succitati. Tuttavia la simulazione del fatale venir meno è ben evidente, come pure i gesti di cordoglio e lutto della moglie, interpretata dalla stessa Scarsellini, che, conformemente alle istruzioni di Rovelli, si tira ì capelli per il dolore e gli gira attorno con una gestualità che nelle altre versioni note del balio è quasi scomparsa a favore di quella di carattere erotico o addirittura osceno.
A Garbagna il balio della Povera donna, secondo quanto riferisce Rovelli, veniva eseguito “anche tre o quattro volte nel corso di una serata”, e sì presentava all’infuori della cornice tipica dì un rito carnevalesco, del quale aveva però conservato con maggior evidenza la dinamica centrale di morte e resurrezione riscontrabile all’interno dei riti analoghi.
A questo proposito va notato altresì che il canto riconoscibile come “lamento funebre” sì prestava propriamente all’esecuzione del ballo nelle modalità riferite da Egidio Rovelli, e in particolare nel momento in cui la “povera donna” si dispera attorno alla figura del marito giacente nell’apparente stato di moribondo ed è invece difficilmente collocabile all’interno delle modalità esecutive documentate e riscontrabili a Cegni, in val Curone e in val Borbera. A meno che ad eseguire il “lamento funebre” non fosse, in tempi non documentabili, una terza persona o addirittura la comunità riunita intorno al rito.
A Garbagna, tuttavia, il ballo della Povera donna era eseguito anche nel corso del carnevale da Giovanni Rovelli, padre di Egidio, . Grande animatore dì eventi carnevaleschi, Giovanni Rovelli eseguiva una versione del ballo con i protagonisti mascherati, alla quale, da quanto risulterebbe da alcune foto da noi reperite, prendevano parte tre persone, secondo uno schema diffuso anche in val Borbera e val Curone. il significato della presenza di una terza persona, che ad un certo punto si fa da parte lasciando alla coppia principale il compimento del ballo e della pantomima, non ci è del tutto chiaro e andrebbe forse posto a confronto con altri eventi coreurici per stabilirne eventuali nessi funzionali e simbolici.
Attualmente l’esecuzione del ballo della Povera donna ha raggiunto un certo livello di codificazione soprattutto a Cegni, dove viene eseguito in occasione del carnevale e del carnevale bianco, all’interno di una ritualizzazione complessa della quale abbiamo parlato nel capitolo precedente.
Da Cegni proviene anche la versione eseguita al Connio di Carrega, in alta val Borbera, durante feste da ballo tradizionali, da Luigi Guerrìni e dalla moglie Maria Emilia Pisotti. Il signor Guerrini dichiara di averla appresa dai ballerino di Cegni Cristoforo Sala Fino, specificando però che il ballo è sempre stato eseguito, anche al Connio, da un uomo e da una donna. L’esecuzione della Povera donna di Cristoforo Sala Fino è documentata in un video realizzato dalla Regione Lombardia negli anni Settanta. Colpisce la rigidità quasi ieratica dei due ballerini, i movimenti “a scatti”, l’espressività intensa ed essenziale.
Non è raro che Luigi Guerrini esegua il ballo con la moglie in contesti festivi esterni al periodo carnevalesco, come è avvenuto qualche anno fa alla Festa delle aie di Cosola e ancora in occasione dell’edizione 2006 della Curmà di pinfri, l’annuale raduno di suonatori di tradizione che ha luogo a fine ottobre a Capanne di Cosola. Alla festa del Connio di Carrega, iì 20 agosto, il ballo della Povera donna viene eseguito da più coppie che svolgono contemporaneamente, separatamente ma con identiche modalità, le varie fasi del ballo. In occasione della festa del 2006 il ballo della Povera donna è stato eseguito dalle coppie composte da Luigi Guerrini e Maria Guerrini, Dino Guerrini e Maria Emilia Pisotti e da una terza coppia composta da giovani ballerini.
L’esecuzione del ballo da parte di una coppia mista non sembra plausibilmente corrispondere ad una decadenza del rito, a meno che non si vogliano assumere parametri storici imperscrutabili. A quanto dichiarava il signor Rovelli, a Garbagna il ballo della Povera donna è sempre stato eseguito da un uomo e da una donna senza che ciò suscitasse alcuno scandalo.
È vero che nelle esecuzioni di soli uomini, siano esse di coppia o di gruppo, le movenze erotiche assumono caratteri osceni spesso molto accentuati. La formalizzazione del ballo nell’esecuzione di alcune coppie fisse, come i succitati Luigi Guerrini e moglie e ì ballerini di Cegni Luciano Zanocco e Giorgio Carraio, non esclude che il ballo si prestasse in passato ad un’ampia varietà di interpretazioni, dato il suo carattere grottesco e parodistico. Andrea Fittabìle di Salogni ci ha riferito che il fisarmonicista di Caldirola Pierino Raffo era uso eseguire la Povera donna suonando contemporaneamente la fisarmonica sdraiato sul dorso. Si tratta probabilmente di un caso estremo, mentre sembra fosse abbastanza consueto eseguire il balio anche in assenza del piffero. A Garbagna era il già citato Giovanni Rovelli a suonate l’armonica a bocca nel mentre si cimentava nel ballo, ed era la sola fisarmonica ad accompagnale il ballo, secondo quanto riferitoci da Osvaldo Morgavi Grizéi, in località della media val Curone, come Casasco e Martinasco.
Lo stesso avveniva a Volpedo, che è la località estrema verso la pianura dove abbiamo raccolto testimonianza del ballo. Maddalena Lugano ha raccontato a Claudio Gnoli di aver visto ballare la Povera donna a Volpedo due o tre volte nei primi anni Trenta, l’ultima volta il 12 aprile 1932 durante un matrimonio. Veniva eseguito, in qualsiasi momen­to dell’anno, alla fine del ballo da due uomini che venivano chiamati apposta. La gente si metteva in cerchio attorno alla sala, lasciando al centro solo i due ballerini. Uno dei tre o quattro ballerini di Povera donna dì Volpedo (tutti maschi) è Teresio Rivacambrino, oggi circa novantenne. La Povera donna si ballava in due, a un certo momento ci si abbassava “quasi fino a terra” (o forse fino a buttarsi a terra, secondo Maddalena), poi quando la musica riprendeva ci si rialzava e si riprendeva a ballare. Spesso veniva ballato nella cascina Cantarana dove c’era un fisarmonicista, lavorante del marchese Malaspina. Teresio sostiene che la Povera donna a Volpedo è caduta in disuso appena dopo la guerra.
Ancora oggi, in occasione del carnevale, un gruppo di maschere muove da Predaglia, a monte di Fabbrica Curone, e gira i paesi dell’alta valle, dalla domenica al martedì grasso, eseguendo il ballo della Povera donna in modalità piuttosto differenziate, ma sicuramente tutte ascrivibili ad una gestualità tradizionale, documentata anche nelle riprese effettuate negli anni Sessanta e Settanta, nelle valli Curone e Borbera, dall’Istituto De Martino e dai ricercatori della Regione Lombardia.
Durante il carnevale del 2006 chi scrive ha assistito a due esecuzioni della Povera donna da parte del signor Andrea Fittabile, proprietario dell’Albergo Ristorante La Baita di Salogni, e di un altro anziano ballerino. La prima esecuzione del ballo si è svolta parallelamente a quella di due persone più giovani, che hanno eseguito la fase del “lamento” rotolandosi per terra lunghi e distesi, strettamente abbracciati, mentre gli anziani esecutori si limitavano – per così dire – a ruzzolare a terra più o meno avvinghiati.
il signor Fittabile, che ha rivendicato con forza alla sua versione il primato di veridicità tradizionale, si è poi dovuto confrontare con una seconda esecuzione, durante la quale le maschere hanno eseguito il balletto in gruppo e in cerchio tenendosi l’un l’altre le mani sulle spalle, per poi rovinare a terra in un mucchio informe, dal quale guizzava talvolta una gamba, gesto presente in tutte le forme di esecuzione, allusivo forse al rigor mortis e/o a vitalismi fallici.
Pur ribadendo il suo dissenso da quella modalità esecutiva del ballo, l’anziano albergatore si è poi unito alla gestualità sconnessa del gruppo, dando prova di invidiabile agilità.
Nel carnevale del 2007 abbiamo seguito lo stesso gruppo di maschere, che fin dal mattino, partite da Predaglia si aggiravano nei pressi di Fabbrica Curone, per poi recarsi nel pomeriggio a Cella e quindi a Salogni e nell’alta valle.
Di nuovo, nei locali rimodernati della Baita, è stata eseguita la Povera donna, questa volta interpretata da Angelo Letta, grande animatore dei moti carnevaleschi della val Curone, e da un altro ballerino più giovane travestito da frate.
L’esecuzione ha rispettato le sequenze del ballo eseguito in coppia, con la fase dell’abbraccio tra le due figure spìnto fino al loro completo allungamento a terra, strettamente avvinghiati e con esplicite simulazioni dell’atto sessuale. A volte, le altre maschere si uniscono alla pantomima gettandosi a mucchio sui due ballerini principali.
A Cosola, fino ad anni recenti si ricorda l’esecuzione della Povera donna da parte di tre uomini che iniziavano ballando in cerchio fino alla fase del “lamento” quando la terza persona si staccava e la coppia rimanente eseguiva il consueto repertorio di abbracci grotteschi. La figura della “povera donna” era caratterizzata da un foulard e da un grembiule ad indicare la gonna. Il ballo non veniva eseguito in un particolare contesto festivo, né sembra fosse legato in modo particolare al tempo del carnevale. Lo stesso vale, a quanto riferitoci dal signor Andrea Tamburelli Jucci» per il balio della Povera donna eseguito a Bruggi, il paese più alto della val Curone.
Jucci ricorda due ballerini che si distinguevano nel l’esecuzione della Povera donna: Ferdinando Tamburelli e Teresa Brignoli. Dalla descrizione, sembra che a Bruggi nelle modalità esecutive prevalessero gli aspetti coreùtici rispetto a quelli pantomimici e grotteschi che caratterizzano l’esecuzione del ballo da noi osservata a Predaglia e Salogni.
Anche in val Borbera, a Dova Inferiore, il ballo della Povera donna era eseguito da una coppia mista, Serafino Bava e Adelaide Aragone, secondo quanto riferitoci da Giovanni Franco di Dova Inferiore.
Andrea Tambornini di Salogni riferisce di un frammento di canto eseguito “dai vecchi della val Curone” durante ìl ballo della Povera donna. Vi si trova il riferimento al grembiule indossato dalla “povera donna” (per esempio a Cosola), ma nessun accenno al tema della morte e resurrezione:
O povra dona meta la scusà / Se te n’è mia val a cumprà… ( O povera donna metti il grembiule/ Se non ce l’hai vallo a comprare…)
Quello che possiamo concluderne è che attualmente ancora coesistono, come probabilmente è sempre stato, modalità differenti di esecuzione, che si influenzano e interagiscono reciprocamente, e solo là dove il ballo grottesco è stato assunto in una logica coreutica codificata, esso ha acquisito modalità costanti e definite, senza per questo perdere la sua vitalità e forza evocativa.

Paolo Ferrari
(Brano tratto da “Chi nasce mulo bisogna che tira calci” di Paolo Ferrari, Claudio Gnoli, Zulema Negro, Fabio Paveto)

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