In Bobbio nuovamente liberata.
“Occupata la città, la VII^ brigata, la cui consistenza numerica era ormai di 308 unità, veniva suddivisa in tre distaccamenti, più un reparto comando, una squadra pionieri, un reparto sanitario e uno addetto alla sussistenza e ai collegamenti.
Il distaccamento di Barba 1° veniva staccato a Pietranera – Carana – Brugnello a sud di Bobbio, quello di Russo nella zona di Lagobisione – Vaccarezza – S. Maria, mentre quello di Barba 2° veniva lasciato, coi compiti già visti, nel settore Monteventano, verso la pianura.
In città rimaneva il reparto comando diretto dal maresc. Mazzucco, unitamente a quello sanitario e a quello per i collegamenti e la sussistenza diretti rispettivamente dal cap. medico De Luca e dal commissario Gino Cerri. La squadra pionieri, comandata dal sottotenente Magistrati, veniva invece staccata al Passo Barberino, per riattivarvi il transito con passerella, a fianco del ponte distrutto, e poi a S. Salvatore, sempre con compiti di ricostruzione di opere che erano andate distrutte, di sorveglianza del traffico e di repressione di illeciti mercati.
Io personalmente ero costretto alla città, dove ero trattenuto non tanto dalla presenza del reparto comando e dalla posizione centrale e di comodo che questo aveva rispetto alla dislocazione degli altri reparti della brigata, quanto dalla necessità di dovermi occupare anche dell’amministrazione civile. Infatti, dopo l’infelice esperienza fatta nel periodo della prima occupazione partigiana, in Bobbio più non era possibile trovare alcuna persona che volesse interessarsi direttamente e in posizione scoperta della cosa pubblica.
I vari civili, per lo più esponenti di partiti politici, che già l’avevano fatto prima della battaglia del Penice, non volevano più essere compromessi. Messo al corrente della situazione, il comandante Fausto cercò di venirmi in aiuto, convocando nel Municipio di Bobbio i maggiori esponenti della città. Fu una riunione tempestosa e quando questi dichiararono apertamente che dell’amministrazione più non volevano occuparsi perché la situazione era ancora troppo fluida e i partigiani non davano sufficienti garanzie di sicurezza, ma che tutti sarebbero stati subito pronti a farlo a guerra finita, io temetti il peggio, conoscendo l’irruenza oratoria del mio comandante, al quale per certo non facevano difetto il coraggio e la decisione. Infatti, egli non mancò di apostrofarli con durezza; però alla fine le cose rimasero come erano, non solo perché a noi partigiani non conveniva alienarci la simpatia dei politici, ma soprattutto perché si sentì la necessità, oltre che il dovere, di soccorrere una popolazione che altrimenti sarebbe rimasta abbandonata a se stessa.
Fu così che io mi trovai ad avere in città poteri assoluti, sia di carattere militare che civile. Ancora Fausto mi venne in aiuto col suo consiglio, con l’invio di viveri di prima necessità e di medicinali che furono distribuiti all’Ospedale civile e ai civili più bisognosi.
I partigiani della VII^ brigata provvidero ai servizi di sicurezza della popolazione, che in tal modo fu salvaguardata nei suoi diritti, stroncarono casi isolati di mercato nero che speculatori senza scrupolo andavano svolgendo tra Bobbio e il Genovesato, evitarono eccessi da parte di fanatici che avrebbero voluto calare in città per prelevare i fascisti locali e far razzia nelle loro case.
A questo proposito dovetti intervenire personalmente più di una volta, facendo opera di persuasione, e a chi reclamava la testa di qualcuno, sempre feci presente l’esigenza di una richiesta scritta, di una denuncia circostanziata che giustificasse il provvedimento, poiché i partigiani non si dovevano porre sullo stesso piano dei nazifascisti. Se qualcuno era colpevole era giusto che pagasse il suo debito alla giustizia, ma a guerra finita, dinanzi a un tribunale regolare e con possibilità di difesa.
Assicurato nel modo che si è detto l’ordine pubblico, la popolazione ebbe a godere di un certo benessere e di tranquillità. In Bobbio liberata dovetti amministrare anche la giustizia. Si trattava però di piccole controversie di carattere civile che si risolvevano quasi sempre da sole, con un po’ di buona volontà da parte dei contendenti e con sentenze che lasciavano soddisfatte ambo le parti, che riuscivo a convincere alla pace e al rispetto reciproco. Persino ai permessi di caccia mi trovai costretto a provvedere, rilasciando gratuitamente ai cacciatori un documento che li autorizzava a portare la doppietta. Naturalmente si trattava di persone ben conosciute al nostro comando e che non avrebbero usato l’arma per altri fini.
L’occupazione di Bobbio costituì un’altra affermazione di validità militare e civile della nostra brigata; a testimoniare l’importanza del fatto giunsero presto in città il colonnello Canzi e il comandante Fausto. Quest’ultimo mandò armi, munizioni, viveri e persino del denaro, col quale il commissario Cerri istituì un premio di L.300 a tutti gli alpini.
C’era scarsità di coperte e assoluto bisogno di indumenti invernali, perché la stagione già si rivelava inclemente per le piogge e particolarmente rigida per il freddo. Di qui la preoccupazione mia e di Gino Cerri per cercare di provvedere, ma per quanti sforzi facessimo e per quanto grande fosse la generosità dei civili, le prospettive erano delle peggiori. Tutto difettava, dalle scarpe alle coperte, dagli indumenti ai viveri, dai medicinali alle munizioni e, in quanto a denaro, proprio non ce n’era.
All’Ospedale civile di Bobbio, come già nel periodo della prima occupazione della città, venivano ricoverati partigiani ammalati o feriti di tutte le formazioni e sempre vi trovavano la preziosa assistenza del dott. Silva, coadiuvato ora dal cap. medico De Luca. Anche suor Tommasina fu instancabile nell’adempimento del suo dovere procurando a noi partigiani anche indumenti e munizioni che era riuscita a sottrarre agli alpini della «Monterosa».”
Italo Londei
(Articolo tratto dal N° 4 del 03/02/2022 del settimanale “La Trebbia”)
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