Fabbrica di Ottone: momenti drammatici nelle cronache di cento anni fa

Don Stefano Gandino (1878/1953), nacque a Castelspina, provincia e diocesi di Alessandria. Figura ieratica, di sapienza infinita, eccellente studioso ed espertissimo nella difficile musica gregoriana, appassionato di letteratura Patristica, venne a Bobbio al seguito del vescovo, mons. Giovani Battista Porrati. Nominato parroco a Fabbrica di Ottone, ivi risiedette per quasi 50 anni, nella stima, nell’apprezzamento dei suoi fedeli. Dal Cronicon parrocchiale, scritto con meravigliosa grafia, sua tipica, ho estratto il seguente tragico episodio, riportato a pag. 13:
“Un fatto raccapricciante avvenne in Frassi il 22 novembre 1919. Raffo Caterina, detta Caterinetta, nel fare il bucato si avvicinò in tal modo al fuoco che le si appigliò alle vesti. Discesa nella pubblica strada che passa avanti alla casa sua per invocare aiuto, le fiamme la investirono tutta quanta, innalzandosi alte su di lei, oltre mezzo metro. Accorsero il fratello suo Gerolamo e il nipote Baracchi Giovanni che a stento riuscirono a spegnere il fuoco. Il povero martoriato corpo ne rimase talmente ustionato che all’indomani l’infelice morì”.
Tra le due guerre mondiali del Novecento, giunse anche nella parrocchia di Fabbrica la linea elettrica. Nelle case, finalmente, il buio poteva essere vinto dalla luminosità di una lampadina, con semplice pressione sul pulsante relativo. Ma la gente ignorava i gravi pericoli dell’elettricità: la prudenza nell’utilizzo non era, talvolta, sufficiente. Mentre un tizio tendeva ad ampliare con il metodo “Fai da te” la sua linea elettrica, rimasse “attaccato” al filo. Prontamente accorsero gli amici presenti e tutti furono incatenati allo stesso modo. Secondi drammatici di incombente orribile tragedia in procinto di concludersi nel peggiore dei modi. Cominciarono a svenire, e questo fu la loro salvezza! Il peso notevole del gruppo spezzò il filo liberando tutti.
Moglia, frazione di Fabbrica, affaccia le sue belle case in pietra sul torrente Ventra. La sponda, dolce declivio, era stata mirabilmente terrazzata in ed ivi veniva coltivata la vite con discreto successo. Dalla parte opposta, lato sinistro del torrente, la montagna precipita, invece, quasi a picco. In un punto particolarmente insidioso ancora passa l’antichissima mulattiera, un tempo lontano “Pavia/Carasco”, in Liguria, passando per Ottone, Vico Soprano, Alpepiana…
Possessi, nel secolo VIII, del monastero longobardo di San Pietro in Ciel d’Oro, e più tardi, della Diocesi di Tortona, fino al 1954. In un tragico giorno di inizio secolo scorso, transitava in quel punto un ambulante con il suo asinello. Tornava dalla Val d’Aveto, carico di uova. Polli numerosi, appesi per le zampe, alla maniera dei polli di Renzo, tanto bene descritta dal Manzoni, pendevano dalle “banastre” ricolme. Improvvisamente due falchi cominciarono a incombere nell’aria a cerchi sempre più ravvicinati. I polli, terrorizzati dall’evento, a loro modo esternarono ovvio terrore. L’asinello con reazione impensabile, cercò salvezza nella fuga scomposta, ma precipitò nell’abisso trascinandovi tutta la comitiva. Il corpo del mercante fu recuperato scendendo da Frassi. Il punto in cui cominciò la tragedia, sull’opposta sponda, è ancora oggi chiamato: “Il Salto del Pollaggio”.

Attilio Carboni

(Articolo tratto dal N° 16 del 09/05/2019 del settimanale “La Trebbia”)
(Fotografia di Giacomo Turco)

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