Ridare identità ad antichi borghi oggi dimenticati attraverso il racconto delle storie di uomini senza storia

Quello che presentiamo è un libro veramente bello, scritto da chi conosce molto bene le fonti. Un omaggio a un territorio che l’autore ama e da cui, per ragioni familiari, è stato adottato. Vi si raccontano storie di uomini senza storia che diventano protagonisti ridando identità a borghi spopolati come Gambaro (famoso per il castello) e Centenaro (importante per la pieve), senza dimenticare il capoluogo Ferriere». Così Anna Riva, direttrice dell’Archivio di Stato di Piacenza, intervenuta alla presentazione del volume di Gian Paolo Bulla “Ferriere in Val di Nure – Storie nella storia” (Ed. Le Piccole pagine) che si è tenuta al PalabancaEventi (Sala Panini).
Dopo il saluto a nome della Banca di Piacenza portato dal responsabile della Sede centrale Paolo Marzaroli e l’intervento dell’editore Sandro Beretta («Mi piace pubblicare opere che fanno cultura senza rincorrere mode; questo è un testo molto rigoroso»), l’autore (che ha ringraziato la Banca per l’ospitalità) è entrato più specificatamente nei contenuti del libro, che racconta con ricchezza documentale la storia di un territorio che con i suoi 178,5 chilometri quadrati di superficie (il 6,9% del territorio della provincia) si colloca tra i comuni italiani più estesi.
Un comune, quello di Ferriere, che si dirama lungo l’alta valle del torrente Nure e in parte lungo la valle dell’Aveto; è delimitato a nord dai monti Aserei e Albareto, e dal torrente Lobbia, a ovest dal corso dell’Aveto, a sud dallo spartiacque tra Val Nure e Val d’Aveto con le vette dei monti Nero, Bue e Crociglia, a est per un breve tratto dal Nure, poi dal suo affluente Lardana e dallo spartiacque tra Val Nure e Val Ceno con i monti Camulara, Ragolino, Ragola, e Zovallo. Quindi il suo territorio culmina nei rilievi dell’Appennino ligure-emiliano affacciandosi sui comuni liguri di Santo Stefano d’Aveto e Rezzoaglio e sul comune parmense di Bedonia. Un territorio che il dott. Bulla ha definito «aspro, denso di foreste e solcato da acque capricciose, che nell’antichità poteva dirsi parte di quella rus barbarum che i Romani vollero conquistare». Una zona dalle ben note attitudini minerarie e metallurgiche e protagonista di varie vicissitudini istituzionali, economiche, sociali. L’ex direttore dell’Archivio di Stato ha spiegato come il capoluogo, dal punto di vista amministrativo, abbia un origine abbastanza recente, mentre Gambaro e Centenaro siano invece borghi molto più antichi. Il dott. Bulla si è quindi soffermato sul significato della parola Nure, arrivando alla conclusione che il riferimento è a cumuli di pietra, formazioni rocciose. Terra di passaggio (dalla Liguria) della via dell’olio e del sale, l’Alta Val Nure ha conosciuto una florida attività mineraria (ferro, rame), tanto da attirare l’attenzione dei Farnese (il duca Ottavio nella seconda metà del 1500 comprò le miniere e le fabbriche dai fratelli Nicelli «famiglia – ha sottolineato il dott. Bulla – di cui Ranuccio I, al quale è legato lo sviluppo delle ferriere, si disfa comprando boschi per assicurarsi la legna necessaria alla lavorazione dei metalli»).
In un documento del 1620 Ranuccio I descrive la zona delle ferriere e parla di un castello nel capoluogo di cui non c’è più traccia. Fino all’inizio dell’800 la sede del Comune era a Gambaro, che ha una storia molto antica (citato in un documento del 747 di un re longobardo) legata alla grande famiglia dei Malaspina.

(Articolo tratto dal N° 34 del 19/10/2023 del settimanale “La Trebbia”)

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