La Trebbia: un sogno lungo 120 anni

Guardate la testata. E’ uno storytelling. Da una parte c’è Annibale nell’acqua che brandisce la spada. Dall’altra San Colombano con lo sguardo sul Ponte Gobbo. Li unisce una scritta che definisce una storia, una valle e una civiltà: “La Trebbia”. Ma non è solo il fiume insanguinato dalla battaglia vittoriosa dei cartaginesi contro l’esercito romano nel 218 a.C. e nemmeno il torrente che il monaco irlandese attraversò nel 614 per salvare i sacri testi e la cristianità dall’arianesimo. “La Trebbia” è il settimanale che dal 1903 rappresenta un luogo dell’anima che si onora con il titolo di città: Bobbio. Oggi compie centovent’anni e una mostra nel Palazzo vescovile documenta quel giornalismo di prossimità portatore di fatti, valori ed esperienze che fanno memoria.
È difficile sottrarsi all’emozione davanti alle pagine che dal primo Novecento ad oggi raccontano vite, storie e battaglie che si ripetono da anni: i collegamenti, le strade, le terme, l’ospedale, le scuole, il turismo, il lavoro, la difesa del Trebbia, la crisi delle vocazioni, il mantenimento di funzioni, il rischio idrogeologico. Tutto ritorna e si ripete. Spesso addirittura peggiora. Affiorano nei ritagli di stampa raccolti con paziente cura da Maria Grazia Cella e Marica Draghi, volti e personaggi di stagioni lontane, vescovi, sindaci, medici, amministratori, ma la cifra del settimanale è l’intimità con un territorio di straordinaria e selvaggia bellezza, il senso di comunità che trasmette in chi è rimasto e in chi ha trovato altrove il proprio destino, senza mai lasciare la valle del cuore.
Il passato non è soltanto un album di ricordi, a volte ci aiuta a imboccare sentieri nuovi, a trovare vie alternative anche per i giovani e il loro futuro. “La Trebbia” che si fa storia è un invito a non arrendersi alla marginalità che ha spopolato l’Appennino e a battersi per riequilibrare le opportunità, rese più accessibili dalla rivoluzione digitale. Arte, spiritualità e saperi sono un antidoto all’abbandono, artigianato di qualità e turismo paesaggistico ed enogastronomico rappresentano una nuova economia che cresce, ma se mancano le imprese e il lavoro, se mancano i collegamenti stradali e le scuole, se non c’è la rete Internet e se non cambia la fiscalità in montagna, tutto precipita, tutto muore.
È bello sapere che nell’informazione locale assediata dalla crisi c’è una nave corsara come “La Trebbia”, che festeggia uno storico anniversario rafforzando il suo ruolo di defensor civitatis per Bobbio e la sua valle, con pochi mezzi, molta passione e la volontà di tenere in vita una bottega artigianale che discende da Colombano e dai suoi monaci: uomini che pregavano, lavoravano la terra, studiavano e conducevano una vita sobria, basata sull’essenziale, forte nello spirito e rigorosa nella morale. Oggi che i valori sembrano addomesticati, dispersi in confuse esaltazioni personalistiche, è utile ricordare chi siamo e da dove veniamo, ma anche riscoprire il giornalismo utile, costruttivo, partecipativo de “La Trebbia”, magari aggiungendo alla faticosa linea di sopravvivenza del settimanale la fantasia di un sogno: quello vagheggiato dalla filologa Maria Corti nel romanzo “Il ballo dei sapienti”, una università di montagna per la rigenerazione, l’uguaglianza, le virtù sociali e la filantropia, materie utili e umanamente antagoniste a ogni tipo di egoismo e di algoritmo. E poi, chiusura in bellezza: cinema tutti i giorni a orario continuato, per la felicità di Marco Bellocchio e dei gestori eroici del cinema “Le Grazie”. Cultura, arte e spiritualità, come sostiene don Aldo Maggi nelle pagine seguenti. È un bel sommario, per “La Trebbia”, la valle e il futuro.

Gian Giacomo Schiavi (editorialista del Corriere della Sera)

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