A Pizzonero ho ascoltato la voce antica dell’Appennino

Venti agosto, io e l’amica musicologa stiamo attraversando la Valtrebbia su una vecchia Toyota Yaris. È la terza volta in cinque giorni che vedo scorrere dai finestrini l’amata sequenza di luoghi noti: Rivergaro, Cisiano, Travo, le due Pietre, Perino, Ponte Barberino, Bobbio.

Non sono impazzita (o forse sì), di certo la vita urbana sembra aver perso da un po’ il suo lato umano e pare che camminare su questi sentieri sia diventato l’unico modo per sentirsi vivi.
Oggi però è diverso. Innanzi tutto non sono io che sto trascinando qualche malcapitato nelle mie folli avventure, ma sono ospite di un viaggio lungamente atteso. Inoltre, pur millantando una conoscenza pressoché illimitata della sacra valle, non ho mai superato Marsaglia e non so cosa ci sia dopo il campanile senza pareti che sta al centro del paese.

La musicologa mi sta portando ben più in là, oltre Ottone, nel piccolo paese di Belnome in Val Boreca per prendere parte a un rito ancestrale o qualcosa di simile. C’entrano le tradizioni appenniniche delle Quattro Province, la musica di pifferi e fisarmoniche e la festa patronale di un piccolo paese che si anima solo d’estate, Pizzonero, a 1034 metri sul livello del mare, ancora in terra piacentina ma già in odore di Liguria.

Attraversiamo chilometri di boschi, rocce, acqua e tornanti per arrivare a Belnome, dove scopriamo che il gruppo è già partito e si trova da qualche parte nel bosco. Infilati gli scarponi saliamo in fretta tra i castagni cercando di recuperare velocemente terreno, ci affrettiamo su un sentiero un po’ disgraziato fino a che, in curva, ci appare un capannello di persone, escursionisti con zaini e scarponi ma anche gente con pifferi e fisarmoniche.

Li vediamo guardare in alto verso un paesello di poche case, osservano e aspettano.
Intonano un primo brano solo fisarmonica e voce. Si fermano e aspettano. Niente. Ci riprovano. Niente.

Dal paese (che scopro essere Pizzonero) hanno deciso di tirarla per le lunghe fingendo di non esserci. Un nuovo brano e ancora nulla, proviamo con un grido collettivo. Le voci di risposta da Pizzonero fanno eco nella vallata. Li sfidiamo con un grido più lungo, loro rispondono con un grido lunghissimo, dandosi i turni. È quello il segnale che ci autorizza a salire in paese proseguendo sul sentiero, davanti fisarmoniche e pifferi, dietro una trentina di persone arrivate da tutta Italia per partecipare alla festa.

Entrati a Pizzonero molte persone di tutte le età ci accolgono con le magliette colorate dedicate al paese, partono applausi e abbracci tra volti che sembrano ritrovarsi dopo tanto tempo, i musicisti suonano, qualcuno fa video e filmati che forse serviranno domani, tanto qui non c’è campo. Che grazia.

In pochi minuti la gente si raduna nei cortili, nelle case montanare di Pizzonero e sul prato che sovrasta il paese. Appaiono panini, birre artigianali, formaggi, salumi, frutta, si accende una griglia, arrivano biscotti e torte. Dai tavolini e dalle scalinate delle case iniziano a levarsi canti incredibili, voci quasi esclusivamente maschili che, in polifonia, cantano, principalmente d’amore, secondo la tradizione musicale delle Quattro Province. Tutti partecipano, dal ragazzino, poco prima intento a spillare la birra, all’anziano, ognuno conosce la propria voce e non sbaglia una nota.

Ora è opportuno fare una bella digressione sulle Quattro Province, cosa che mi imbarazza moltissimo dato che la mia padanissima provincia non c’entra nulla con le quattro in questione. Grazie all’amica musicologa, che ha dedicato la prima tesi proprio ai pifferai delle Quattro Province, in questi anni ho imparato un po’ di cose, per esempio che la definizione si riferisce ad una porzione dell’Appennino Ligure che comprende le Province di Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza. Per ragioni storiche la zona è accomunata da una simile cultura musicale e da un più vasto bagaglio di strumenti, canti e danze tradizionali. Siamo qui proprio per sentire queste canzoni, vedere queste danze e per salutare il duo di musicisti che ha guidato la camminata nel bosco e che stasera si esibirà durante il ballo: Stefano Valla e Daniele Scurati.

La gente di Pizzonero con “ballo”; non intende solo il gesto del ballare ma anche la pista da ballo in terra battuta, ultima in Appennino, con al centro un castagno secolare. Sul far della sera tutti i cantori abbandonano cortili e case e si recano al ballo per trasformarsi in ballerini.
Ballano gli anziani sulle note del piffero e della fisarmonica, ballano i bambini, ballano i ragazzi con passo sicuro, ballano gli escursionisti, ballo persino io con gli scarponi, mi trascinano in una Monferrina, poi mi rapiscono per improvvisi balli a due, per fortuna c’è pieno di gente arrivata da chissà dove e nessuno bada troppo a me.

Arriva il momento di festeggiare i diciottenni, i coscritti del paese che qui sono solo due, un ragazzo e una ragazza e ai quali viene riservato un ballo solo tra gli applausi di tutta la comunità di Pizzonero, segue una lotteria di premi non sempre desiderabili.

È ormai notte e tra noi e la macchina c’è un bosco da attraversare, conviene mettersi in cammino, gli amici musicisti ci salutano suonando per noi “Marcellina”, lasciamo il ballo tra gli abbracci, promettendo che per l’anno prossimo prepareremo la canzone in duo, voce e fisarmonica.
Sotto le stelle delle Quattro Province scendiamo per il bosco continuando a cantare gli ultimi versi della canzone per tener lontana la paura del buio e dei cinghiali, le torce lontane degli altri escursionisti ci fanno coraggio e ci guidano fino alla macchina.
Un pezzo di cuore rimane in quel paese, disabitato d’inverno, ma diventato per una sera il centro di un angolo di mondo, fuori campo, lontano dalla città, un posto dove forse si potrebbe ricominciare, in una maniera diversa e un po’ più umana.

Articolo gentilmente concesso da Melissa Fontana
tratto dal sito https://www.salteditions.it/a-pizzonero-ho-ascoltato-la-voce-antica-dellappennino/ (14/09/2019)

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