Storia di una valle e dintorni – 3a parte

La liberazione di Bobbio
“In quel di Bobbio giungemmo alla sera del giorno 6 luglio, pernottando in un cascinale, in faccia alla città al di là del fiume, e l’indomani c’incontrammo col comandante Guerci, che nel frattempo era stato avvertito della nostra presenza. Messi al corrente da alcuni civili che il presidio tedesco e quello della Muti nel corso della notte avevano evacuato la città, decidemmo di entrare in Bobbio, dove era rimasto ancora il reparto dell’antiaerea, comandato da un capitano e forte di un centinaio di uomini, nonché il nucleo dei carabinieri.
La città di Bobbio venne conquistata alle ore 7,30 del giorno 7 luglio(1944), mediante uno stratagemma. Come dirà poi Radio Londra, sarà la prima città ad essere stata liberata fra quelle dell’Italia del Nord. Tom, Guerci ed io guadammo il fiume Trebbia nei pressi di Valgrana inoltrandoci risoluti con le armi in pugno nella città.
Io ero armato della sola pistola e Tom di bombe a mano: tutto qui il nostro armamento. Tuttavia, ci apprestammo ad attaccare un centinaio di nemici, asserragliati ed armatissimi. Lo strattagemma fu questo : entrammo in bicicletta dalla parte Sud della città, e ne percorremmo la piazza e la via principale, invitando i curiosi, che già si accalcavano acclamando, a ritirarsi nelle case, in vista di uno scontro armato in quanto — dicevamo — sarebbe arrivato il « grosso » e vi sarebbe stata battaglia.
Ma il « grosso » dei partigiani non c’era alle nostre spalle: si trattava d’ingannare il nemico circa l’entità delle forze attaccanti. La notizia infatti arrivò agli orecchi degli avversari prima ancora che i partigiani si avvicinassero alla loro caserma, per modo che quando essi comparvero trovarono i militi e i carabinieri che già, con le mani alzate e le armi al piede, davano manifesti segnali di resa. Di essere stati ingannati si accorsero dopo, poiché il grosso dei partigiani tardava a giungere, ma ormai era troppo tardi. Noi avevamo già provveduto a disarmarli e a metterli nelle condizioni di non nuocere. Il grosso arrivò soltanto nel pomeriggio in quanto io avevo anche provveduto a far avvertire il comandante Fausto dell’avvenuta occupazione della città. Questi allora si affrettò a marciare verso Bobbio alla testa di un folto gruppo dei suoi partigiani per assumere il presidio della città. Verso sera e all’indomani giunsero anche i partigiani del Montenegrino col loro comandante e col colonnello Emilio Canzi.

L’atmosfera di giubilo da parte della popolazione fu indescrivibile, tanta era la soddisfazione per la riconquistata libertà e la fine dell’oppressione e del terrore; apparvero alle cantonate manifesti inneggianti ai partigiani, suonarono a stormo le campane della chiesa, si tennero discorsi. In mezzo a tanto tripudio suscitò perciò una certa impressione il fatto che noi avessimo ripristinato il coprifuoco. A tanto eravamo però stati costretti dalla necessità di mantenere l’ordine pubblico e di impedire rappresaglie e saccheggi, che già alcuni partigiani volevano attuare. In tal modo la città e la popolazione non ebbero a subire alcun danno. La preferenza accordata al comandante Fausto ed ai suoi uomini non fu determinata in noi da ragioni politiche, ma unicamente dal fatto che questi partigiani potevano fornire garanzie di serietà. La popolazione e la città di Bobbio stavano del resto molto a cuore al comandante, per cui anche in seguito egli si adoperò onde evitare lutti e rovine.
Come si è detto, Fausto arrivò in Bobbio liberata nel pomeriggio del 7 luglio, alla testa di un forte gruppo di suoi partigiani; gli consegnai la città, i prigionieri fatti e le armi catturate. Fausto da parte sua mi nominò suo aiutante maggiore.
Dopo l’occupazione di Bobbio tutta la val Trebbia era ormai libera da Rivergaro a Torriglia per una profondità di circa 90 km. e la statale N. 45 era chiusa al nemico. A Bobbio confluivano partigiani di tutte le formazioni, essendo quello il centro di maggior importanza ed ormai nelle retrovie. In questa città, veniva ammassato il grano e da qui ripartito alla popolazione ed alle formazioni partigiane.
Presiedeva a queste operazioni d’ammasso ed alla amministrazione del Comune il prof. Bruno Pasquali. Le due tipografie locali lavoravano a pieno ritmo per i partigiani: quella Repetti per i Garibaldini, il cui Ufficio Stampa era retto da Bini; quella Bellocchio per la Divisione G. L. con Ufficio Stampa retto da Edo (Marco Roda). Nascevano così i primi manifesti emessi dalle nuove Autorità civili e dai partigiani, volantini di propaganda, carteggio vario ed anche due giornali. Quello della formazione di Fausto si chiamerà « Il grido del Popolo ».
L ’Ospedale Civile di Bobbio era anch’esso a disposizione dei partigiani, i cui feriti ed ammalati vi confluivano da tutte le formazioni, anche da quella garibaldina. Lo dirigeva il dott. Ellenio Silva, nobile figura di patriota e di antifascista, con la collaborazione del prof. Arturo Fornero, del dott. Landi, di alcuni studenti in medicina e di suor Tommasina. Quest’ultima esplicherà poi anche altre attività a favore dei partigiani, sottraendo armi, munizioni, indumenti ai nemici e fornendo inoltre informazioni preziose.
I fascisti di Bobbio venivano rinchiusi nel castello del Dego, trattati umanamente ed impiegati in lavori manuali per la costruzione di una passerella sul Trebbia, in località Barberino. Infatti il ponte locale della statale N. 45 era stato fatto saltare dai partigiani della IV brigata, per creare una grave interruzione della strada stessa, in vista di un eventuale ritorno del nemico verso la città di Bobbio.
In Bobbio liberata si avevano incerte notizie che agissero delle spie in favore del nemico. Tutti ne parlavano, ma nessuno sapeva fornire indicazioni precise. Erano allusioni vaghe, non indizi sicuri che servissero a scoprire una trama. Perciò decisi di agire personalmente. Vestiti abiti borghesi mi recai un giorno al palazzo Malaspina, dove sapevo di trovare la signora Passanitello, moglie del commissario prefettizio, il quale era fuggito al seguito del nemico, quando questo aveva evacuato la città.
Temendo un attacco alla colonna, cosa che poi avvenne, la signora ed i figli erano rimasti. Mi presentai come commissario di P. S., dicendo di recar nuove del marito e di essere stato inviato in incognito sul poste, onde assumere informazioni e creare un centro di spionaggio. Occorreva però conoscere il nome della persona di « sicura fede » a cui appoggiarsi e più ancora quello di coloro che già avevano « lavorato », onde «tessere la trama spionistica. La signora ingenuamente rivelò un solo nome: quello di colui che per la sua capacità, il suo prestigio e l’attività già svolta poteva considerarsi il capo. Era quanto mi bastava; non diedi ordine di arresti, ma solo mi limitai ad abboccarmi con l’informatore ormai smascherato, diffidandolo. La vergogna di vedersi scoperto e per di più da un concittadino, la paura della rappresaglia e delle gravi conseguenze a cui avrebbe esposto se e la propria famiglia e fors’anche l’opportunità di riguadagnarsi la stima e l’onore così meschinamente perduti, valsero a farlo ravvedere. I fatti lo confermeranno in seguito, ma il suo nome resterà un segreto per tutti.
Sul finire del mese di luglio, mentre mi recavo da S. Giorgio all’Alzanese, caddi da cavallo, producendomi una grave lacerazione alla gamba sinistra. Si rese perciò necessario il mio ricovero all’ospedale civile di Bobbio, dove rimasi degente per otto giorni. Quando però feci ritorno a S. Giorgio, per riprendere il mio posto, trovai questo occupato da un altro. Un tale che millantava di essere stato inviato dal partito comunista con specifici incarichi di carattere molto ambiguo. Questa persona giunse ad ingannare a tal punto il comandante che ne ebbe pieno credito. Per questo intervento e per la presenza di altri elementi che si agitavano mossi da invidie e gelosie, al comando di divisione si era intanto creata un’atmosfera di disordine e di scarsa disciplina.
Naturalmente questa situazione era aspramente criticata da molti partigiani; di conseguenza io venni nella determinazione di abbandonare il comando di divisione. Mi seguirono i partigiani Tom, Gianni, Mix, Barba I°, Barba 2° e Russo ed insieme ci avviammo verso la città di Bobbio, scegliendo per noi l’azione, il rischio, un’attività che risultasse proficua. Da questi propositi e come frutto delle azioni svolte contro il nemico, ebbe origine la 7^ brigata alpina.

Italo Londei

(Articolo tratto dal N° 38 del 25/11/2021 del settimanale “La Trebbia”)

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