Fontanarossa (Gorreto)

Foto di Marco Gallione

Fontanarossa, splendida frazione di Gorreto, dista circa 60 km da Genova, si trova a 943 m slm. ed è incastonata in una magnifica posizione sul versante settentrionale del Monte della Cavalla, alto 1327 metri. A vivere stabilmente nel borgo sono una ventina di abitanti.
I cognomi originari di Fontanarossa sono: Mangini, di almeno 3 ceppi differenti, Moscone, Chiosso e Chiappellone.
Il nome del paese, nei documenti più antichi, compare come “Fontana Rubea”
Il paese è nettamente diviso in due parti da un fosso che si può dire abbia origine daIla fontana da cui sgorga. Dagli abitanti è chiamata “fontana fresca” per la particolarità di mantenere la temperatura fresca dell’acqua anche in estate.
Fino alla fine del Medioevo non si hanno testimonianze dirette della storia del paese, tranne che per la Chiesa di S. Stefano all’interno del cimitero, che sembra possa essere stata edificata dai saraceni appena prima dell’anno 1000; in quel periodo, infatti, i pirati saccheggiarono Genova per poi spingersi fino all’entroterra, dove sembra che alcune colonie rimasero in quelle zone. E proprio quel gruppo di pirati sembra abbiano edificato la piccola chiesetta, che in seguito venne convertita ad uso ecclesiastico. All’inizio del XVI secolo Fontanarossa era sotto i Pallavicini e i Principi Doria di Genova, i quali costruirono il famoso palazzo che è tuttora esistente, anche se mancante della torre che è stata distrutta. Il Palazzo dei Doria fu per molto tempo “Corte di Giustizia* con prigioni, trabocchetti e forca,
Un’ulteriore curiosità legata al piccolo borgo è legata a Cristoforo Colombo; sembra che Susanna Fontanarossa, madre dello scopritore del nuovo continente, nacque a Ferriere, sulla strada da Fontanarossa ad Alpe, come è indicato su un’iscrizione su marmo collocata nel centro del paese. Leggenda o realtà…?
La ricchezza del paese erano senz’altro le castagne: risorsa calorica insostituibile per gli abitanti che, nelle sue differenti varianti, risolvevano il problema dei pasti giornalieri. A Fontanarossa ce n’erano almeno di tre tipi differenti; le “tempurie” da mangiar subito, le “franzigliune” e le “ciapparinne”. Ci raccontano che, nel dopoguerra, questo “pane d’albero” veniva caricato su slitte chiamate “liese” per essere portato a valle, seccato con un focolare che doveva produrre più fumo che fuoco vivo (per questo scopo veniva impiegata legna umida) in un “seccherezzu” o “gre” (termine più usato dai fontanarossini) che solitamente era una casetta a parte rispetto all’abitazione e che aveva due piani separati da un pavimento in legno con piccole listelle un po’ separate tra loro per permettere il passaggio del calore della stufa di ghisa. Se si dovevano portar fuori dal paese, si utilizzava la teleferica. Il gestore della teleferica, Antonio Moscone, raccontò di aver caricato, in un anno, 600 quintali di castagne già essiccate, il che vuol dire quasi 2 tonnellate di castagne raccolte.
I Fontanarossini venivano scherzosamente chiamati dagli abitanti dei paesi vicini “i sussabaletti” perché usavano cuocere le castagne con la buccia e mangiarne la polpa succhiandola attraverso buchetti sulla scorza.
La fienagione era un periodo molto importante per i contadini: il fieno si coltivava sul versante del Monte Cavalla, dal paese fino in cima al monte, passando per Pian della Cavalla. Il fieno era tagliato con un utensile detto “riatta” (o “scuriatta”); il giorno dopo, soprattutto quello sul monte, veniva raccolto con “a rama”, una scopa fatta con i primi rametti che nascevano sui ceppi degli alberi tagliati. Poi il fieno veniva messo nelle “gabbie”, un contenitore formato da due bastoni e numerose cordicelle che contenevano tutto il fieno tagliato, per essere poi portato in paese e dato agli animali.
Fortunatamente ancora oggi c’è una famiglia che si occupa, tra l’altro, anche di tagliare il fieno sul Pian della Cavalla, permettendoci di ammirare, ogni anno, la fioritura dei narcisi.
Anche Fontanarossa possedeva il suo mulino, sulla strada che da Fontanarossa porta ad Alpe: si potevano utilizzare tre differenti macine, una per il grano, una per la polenta e una per realizzare la farina di castagne. Per la farina bianca i contadini giungevano anche da paesi vicini perchè la macina bianca di quel mulino rendeva tanto candida anche la farina. A Fontanarossa il mulino ha funzionato fino al 1957 lo stesso anno in cui giunse a Fontanarossa la strada carrozzabile; prima c’era solo una mulattiera della quale, facendo attenzione, si può vederne ancora qualche tratto.

Camminando in Val Terenzone: l’altopiano di Pian della Cavalla
di Enrica Mescoli
Custode di un ambiente naturale rigoglioso ed incontaminato, espressione della secolare e discreta presenza dell’uomo, la Valle del Terenzone si rivela e si assapora appieno camminando nei boschi, lungo i sentieri e le antiche mulattiere che ne risalgono i versanti. Ecco allora che dall’abitato di Fontanarossa, nei pressi della chiesa, si intraprende l’itinerario che conduce a Pian della Cavalla, vasto altopiano a 1300 metri di quota sullo spartiacque tra le valli del Terenzone e del Torrente Cassingheno. Il sentiero sale gradualmente tra freschi lembi di faggeta e zone aperte prative, che offrono belle vedute sui monti Carmo e Alfeo; in circa 1 ora 45′ – 2 ore di cammino si raggiunge la base dell’altopiano che culmina, in direzione sud-est, nel Monte della Cavalla a 1327 metri di quota.
Dalla vetta la vista si apre sull’Alta Val Trebbia: sullo sfondo si riconoscono i profili delle cime dei monti Maggiorasca, Penna, Aiona, Zatta, Ramaceto e via via, spostando lo sguardo verso ovest, appare inconfondibile la cima del Monte Antola con la sua grande croce branca. A maggio, un fitto tappeto bianco ricopre le praterie di Pian della Cavalla e diffonde nell’aria un intenso profumo: sono le fioriture dei narcisi (Narcissus poèticus), copiose e spettacolari, a testimonianza della periodica attività di sfalcio dell’erba che ne favorisce il mantenimento. Non solo narcisi comunque, ma svariate fioriture che dall’inizio della primavera all’estate inoltrata punteggiano il pianoro e “accompagnano” gli escursionisti che vi fanno tappa; dalle anemoni alle genziane, dalle orchidee e al
giallo intenso del botton d’oro, alle numerose specie di composite e graminacee, un susseguirsi di colori e sfumature che donano all’area un aspetto mutevole e sempre suggestivo. Localmente, l’altopiano di Pian della Cavalla è chiamato il “lago” per la singolare depressione posta nella parte più a nord della dorsale che richiama alla mente le caratteristiche doline degli ambienti carsici. Durante le stagioni con abbondanti e frequenti piogge questa conca si può, infatti, riempire d’acqua prendendo le sembianze di un piccolo laghetto,
Costeggiando la conca e seguendo l’itinerario che si dirige a ovest, si raggiunge la panoramica Costa del Fresco: da una parte si individuano facilmente i paesi di Varni e, di fronte, quello di Alpe mentre dall’altra appaiono le abitazioni di Fascia nella Valle del Cassingheno. Proseguendo, per chi vuole allungare l’escursione o organizzare trekking di più giorni, si può raggiungere la località di Casa del Romano e quindi il Monte Antola con il suo Rifugio.

(Fonte: N° 14 – Aprile 2008 del periodico “Le voci dell’Antola”)

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