Il Mugnaio: mestiere di famiglia

Non senza difficoltà continua il viaggio della redazione del Parco attraverso i mestieri che purtroppo oggi sono andati perduti, ma che hanno contribuito in modo significativo alla vita rurale e all’economia contadina di generazioni di abitanti delle valli dell’Antola. Dopo la storia della maestra Maria di Vobbia, che ci auguriamo vi abbia emozionato quanto noi, vi vogliamo raccontare la storia di altre donne, questa volte accomunate da un altro mestiere antico, quello del mugnaio.
Un mulino (dal latino molinum, mola) è uno strumento che macina alcune materie prime attraverso la forza dell’acqua corrente e del vento, nel periodo pre-industriale, in seguito, anche grazie alla corrente elettrica.
ll territorio del Parco e ricchissimo di mulini, testimonianze silenti di epoche in cui questo strumento era di uso comune. Proprio sfruttando questa ricchezza storica ed architettonica, abbiamo incontrato due donne che hanno intrecciato la loro storia di vita a quella dei loro mulini. Sono solo una manciata i chilometri che separano il centro di Torriglia, sede del nostro ufficio, da Olcesi, località nel comune di Torriglia dove, in una delle poche mattinate terse di questa stramba estate, ci siamo recati per conoscere Delia e visitare il suo mulino, il Mulino di Zane.
Percorriamo a piedi il ponticello che conduce alla sua casa e, proprio all’inizio del vialetto, compare una donnina minuta con i capelli bianchi sulle spalle e gli occhi di un azzurro intenso, che come un lampo si rivolgono a noi: una mano e aggrappata al bastone e l’altra e intenta a strappare erbacce dagli arbusti che costeggiano l’accesso a casa. Non può essere che lei.
Delia Cardinale, classe 1921. Più tardi in casa ci dirà: “lo dico che sono del 1921, lascio a voi fare i conti” con un sorriso divertito. Presto fatti: 93 anni compiuti. Ci saluta con un sorriso e ci ascolta mentre le spieghiamo chi siamo e che siamo venuti a trovarla perché vorremmo ci raccontasse qualcosa del mulino e della sua vita qui. Con passo lento ma deciso ci invita a seguirla in casa, nella sua cucina, e il salto nel tempo può dirsi davvero compiuto: qui ci accoglie il nipote, che ogni giorno si prende cura della zia, e il loro cane festante. Entrambi, di concerto, rivivendo nel racconto i loro ricordi, permettono a noi di entrarci ed ascoltarli affascinati.
ll mulino di Zane era dei genitori di Delia, che hanno cresciuto in questa casa sei figli, tre femmine e tre maschi. All’interno di questa piccola comunità in seguito venne a far parte anche il marito di Delia e tutti loro gestirono il lavoro al mulino fino alla sua chiusura, circa 40 anni fa.
Delia ci racconta che la mulattiera che passava sotto la sua casa in passato era molto trafficata perché dalla Val Trebbia conduceva in Valle Scrivia e poi fino in Piemonte. Inoltre molti abitanti della Valle raggiungevano Torriglia per il grande mercato. Delia ci racconta divertita di quando uno dei loro cani rubò un pezzo di stock dalla borsa di un viandante di ritorno dal mercato verso Montoggio, che lasciò probabilmente incustodito solo per un attimo il suo malloppo.
Da Olcesi a Montoggio, ovvero in poco più di quindici chilometri di strada, un tempo erano in funzione ben cinque mulini, proprio perché quasi tutte le famiglie e le comunità un tempo per sfamarsi utilizzavano la propria farina che poteva essere macinata solo recandosi al mulino più vicino. Qui loro potevano macinare: frumento, granoturco e castagne secche. ll Mulino di Zane funzionava ad acqua, condotta alla ruota da un piccolo lago sopra la casa. Quando si voleva macinare si aprivano le chiuse del lago e la pressione dell’acqua metteva in moto tutti gli ingranaggi in legno, tranne solo due ruote interne in metallo, e il grano da questi macinato si radunava nel magazzino in una canaletta.
Quello di Zane è sempre rimasto un mulino ad acqua, fino alla sua dismissione. Abbiamo invece incontrato un’altra “mugnaia” che ci racconta una storia altrettanto affascinante: il suo mulino, in verità quello del suocero, nacque come mulino ad acqua e in seguito seguì il trasloco della famiglia, divenendo elettrico.
Anche questa volta per conoscere quest’altra storia percorriamo pochi chilometri dal centro di Torriglia: in località Badaracchi incontriamo Meralda Garbarino, che qui tutti conoscono come Puppa che ci accoglie con grande ospitalità e si impegna molto nel ricordare tutti i particolari utili per raccontare la vita della sua famiglia e quella del marito, tutta attorno al loro mulino. I loro suoceri avevano un mulino ad acqua a Ragaimunda, (località che si raggiunge, sulla strada vecchia da Torriglia a Laccio, scendendo da un sentiero che parte appena sopra loc. Gaietta) già nel corso dell’800, ma quando decisero di trasferirsi a Badaracchi lo smontarono e lo portarono nei fondi della casa che avevano costruito. Lì però non era presente un corso d’acqua e quindi decisero di elettrificarlo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale il mulino era già elettrificato e funzionante e macinò addirittura fino ai primi anni ’90 del ’900, divenendo uno degli ultimi mulini funzionanti di tutte le valli attorno. Il mulino aveva tre macine e poteva macinare frumento, granoturco e castagne secche solo in un breve periodo dell’anno che però, come ci racconta Puppa: “…dovevano essere ben secche altrimenti si rischiava di fare un impasto umido che era poi difficile da togliere dagli ingranaggi”. Nella macina per il grano si potevano passare anche i piselli (la farina ottenuta poteva essere utilizzata per preparare la polenta) o le fave (che solitamente venivano utilizzate come mangime per gli animali).

Puppa ci racconta di essere subentrata ai suoceri col marito nella gestione del mulino: “Avevo imparato a cucire e lavoravo alla Clinica Montallegro; e da sarta sono diventata in un attimo mugnaia”. Luigi Margari, il suocero di Puppa, aveva imparato anche a battere le mole dei mulini della zona; quando fu capace, anche il figlio Luciano continuò la tradizione del padre e con i martelli adatti lasciati dal padre andava a molare le macine dei mulini delle valli attorno e… anche quello di Zane! Con questo martello praticava dei piccoli fori nella pietra, come a creare una piccola dentatura. Terminata l’operazione la polvere di pietra veniva espulsa mischiando poco grano ed eliminando il composto. Puppa ci racconta quanto numerosi erano un tempo i mulini in questa zona: ce n’era uno in località Rasciou, il primo della Val Trebbia, ancora visibile, un altro a Trebbie Burche (poco lontana da loc. Costamaglio) ed uno vicino alla diga del Brugneto, sotto Albora, le pare di ricordare proprio nel paese di Brugneto, che oggi non esiste più, sostituito dal Lago, come Frinti.
ll mulino a Badaracchi venne appunto mantenuto in funzione fino agli anni ’90 e, quando venne dismesso, Luciano, il marito di Puppa, non aveva il coraggio di smontarlo. Così il figlio Danilo gli suggerì di provare a parlare con Don Pietro, Parroco di Montebruno che gestiva il Museo della Cultura Contadina proprio accanto al Santuario della Madonna, affinchè potesse custodirlo. E da quel giorno questo prezioso ingranaggio, interamente ricomposto, e lì custodito, non per svolgere la funzione per cui è stato costruito, ma per testimoniare alle nuove generazioni da dove veniamo.
Un abbraccio e un grazie di cuore a Delia e Puppa, due ragazze in gamba che ho avuto il grande piacere di incontrare venendo a conoscenza, attraverso di loro e dei loro racconti, di uno spaccato vero di vita che nessun libro potrà mai raccontarci con altrettanta emozione.

Silvia Barbagelata
(Articolo tratto dal N° 39 del periodico “Le Voci dell’Antola”)
(La foto del mugnaio è tratta dal sito https://scn.caiparma.it/la-figura-del-mugnaio/

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