Cartaginesi in Val Boreca: le ipotesi di Colombano Leoni

Presentato dalla prof. Isella Follini, Colombano Leoni ha illustrato i risultati della sua ricerca sui cartaginesi in Val Boreca. L’amore per quella valle aspra e intatta, capace di custodire storie e leggende per duemila anni, risale agli anni in cui lavorava nella centrale idroelettrica dell’Enel.
La sala conferenze del municipio registra il tutto esaurito, posti solo in piedi. Davanti a un pubblico particolarmente attento e interessato, Colombano avanza dunque l’ipotesi che in Valboreca vi fosse un campo d’addestramento per reclute, organizzato su mandato di Cartagine da Magone, fratello minore di Annibale, con l’obiettivo di ricongiungere le sue truppe con quelle di Annibale e attaccare Roma. «Arruolava mercenari locali disposti a combattere contro i romani» spiega Leoni. «Aveva bisogno di un luogo isolato facilmente controllabile, dove | senza sorprese addestrare e formare chi volesse imparare il mestiere di soldato».
Con una serie di proiezioni la Val Boreca è presentata nei luoghi più significativi in chiave cartaginese. Zerba? Come noto, deriverebbe dall’isola di Djerba; e la frazione di Tàrtago? Da Kartàgo. Africa, dunque. Vi è poi, risalendo la valle, Suzzi: «Nel golfo di Hammamet c’è Sousse, storico porto», precisa Leoni. Anche Bogli (in dialetto Buggi) deriverebbe dall’algerino Bougie, base navale dei pirati saraceni da dove veniva uno fra i migliori capi di Annibale, Marbale.
Colombano Leoni si è spinto fino a un paesino chiamato Cartasegna, che ci rimanda a Cartagena, città spagnola: «Arrivato qui ho sentito un brivido lungo la schiena. Perché mai questa conca sperduta nei monti aveva tante analogie con la storia cartaginese? Nel prezioso volume di Fabrizio Capecchi, “Un’isola tra i monti”, si fa riferimento a zanne di elefante ritrovate a Ponte Lenzino. Fin ora, abbiamo trovato soprattutto nomi e leggende, ma un reperto a dire il vero c’è. Otto armille di bronzo, oggi conservate al Castello Sforzesco di Milano e trovate a Zerba».
Un’ultima testimonianza, sottolinea Leoni, è in un articolo di don Andrea Varinotti apparso su La Trebbia in cui si accenna al ritrovamento di una tomba da parte di studenti piacentini del Guf (Gioventù universitaria fascista) i quali, nel 1933, scoprirono nella tomba uno scheletro gigantesco che attorno a sé aveva cinque crani, evidentemente di nemici uccisi e una daga, terribile arma, specialmente se in mano ad un gigante.
La Valboreca è dunque uno scrigno di tesori. E a oltre duemila anni di distanza sono ancora lì, a sfidare le nostre ricerche.

(Articolo tratto dal N° 25 del 12/07/2018 del settimanale “La Trebbia”)

Lascia un commento