La cupola dell’oratorio di San Rocco emerge nel panorama di Ottone

Nel 1836 la popolazione di Ottone, grata a San Rocco di essere rimasta incolume dal colera, fece voto di innalzare a San Rocco un Oratorio. La Fabbriceria parrocchiale acquistò l’area dalla nobile famiglia Garbarini, la quale si riservò di rioccupare il terreno che non fosse stato occupato dalla fabbrica dell’Oratorio. Per tale clausola l’Oratorio non ha intorno neppure un palmo di terra propria.
Nel 1839, il 6 agosto, la fabbriceria dava in appalto la costruzione dell’Oratorio di S. Rocco al capomastro Giovanni Battista Landò di Chiavari. Nel 1856 deliberava altri lavori al muratore Giovanni Crosiglia di San Martino d’Albaro e si giunse all’altezza dei cornicioni e si stette così per tutto il secolo XIX.
Ai primordi del XX secolo, con private offerte e cooperazioni degli ottonesi e frazionisti, l’opera venne condotta a compimento. A questo scopo lavorò molto il canonico Don Filippo Mosconi di Andrea, scomparso ancora in giovane età il 3 dicembre 1911. Don Mosconi era nativo di Ottone e si distinse nel Seminario di Bobbio per Fede e capacità intellettuali. Inviato a Roma allo scopo di approfondire le sue conoscenze tornò laureato in Sacra Teologia. Per alcuni anni fu titolare di detta prestigiosa cattedra nella nostra città.
L’Oratorio fu inaugurato al culto il 15 settembre 1913. Scoppiata la guerra, nel periodo 1915/1921 venne requisito e adibito a magazzino municipale per le vettovaglie comunali.
Il giorno 8 agosto 1922 l’Arciprete Don Barbieri, assistito dai Reverendi Don Ghirardelli, Don Ercole Radaelli (parroco di Ottone Soprano) e dal chierico Francesco Balzarini (di Gramizzola, poi Sacerdote e Vicario Generale della Diocesi di Bobbio per gran parte della sua vita), ribenediceva solennemente l’Oratorio.
Si tratta di un’opera architettonica di notevolissimo pregio. La sua bella cupola, alta, slanciata, armoniosa, è tipologia unica nella ex Diocesi di Bobbio (ora Piacenza Bobbio). Purtroppo il tempo impietoso che “sempre toglie e mai aggiunge” ha prodotto negli ultimi anni seri guai alla struttura nel suo complesso, con gravi infiltrazioni d’acqua piovana e compromissione di intonaci e stucchi. Sarebbe necessario intervenire in fretta con manutenzioni energiche per mettere in sicurezza l’edificio. restituirlo al culto, alla pubblica fruizione, all’arte. Una tanto preziosa pagina di Storia e Fede, eredità degli antenati, non può essere abbandonata alla prospettiva del rudere, mai più recuperabile. Sarebbe un impoverimento che tutti coinvolge, penalizza ed umilia.

Note artistiche dell’Oratorio di S. Rocco

L’oratorio di S. Rocco, a pianta quadrangolare, presenta una magnifica cupola con torretta/lucernario. Agli angoli, con base sul piano di calpestio, sono state ricavate ampie nicchie, destinate, forse, ad ospitare le statue degli Evangelisti. Ogni nicchia è incorniciata da paraste/colonne che sostengono ampio ornato aggettante e marcapiano. In corrispondenza delle colonne, cimase si prolungano nella cupola, congiungendosi nell’anello, piattaforma alla torretta. Le 8 colonne sono alte e slanciate, fioriscono in capitelli di gesso di molto pregio ed effetto, bene emulando l’ordine corinzio. Dunque, un sistema di nervature varie, forti ed imponenti che trasmette immediati richiami a regola, misura, vigore, eleganza, elevazione.
Le quattro nicchie e le otto colonne sono state concepite, probabilmente, per modellare l’oratorio ad immagine di un battistero, secondo le indicazioni della prima Lettera di San Pietro da cui si evincono simboli e preziose allegorie, collegate al Sacramento del battesimo.
Grande è la suggestione che emana dall’insieme: la statua di San Rocco indica le piaghe che lo affliggono; il cane, affettuoso e carico d’anni, richiama i nostri antichi, stretti legami con animali e piante; la natura, il mondo. L’assenza di arredo, il bianco colore dei muri, tipico dello stile francescano, indirizzano i fedeli a volgere rapido sguardo verso il cielo.

Attilio Carboni
(La fotografia dell’oratorio è di Andrea Bagnasco)

(Articolo tratto dal N° 10 del 16/03/2017 del settimanale “La Trebbia”)

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