Il Barbera torna ad essere un vino della Val Borbera

Un vitigno che in purezza non si coltivava da tempo immemore, una botte in castagno dove poterlo fare affinare, un’azienda agricola con una storia e un nome antico e la cocciutaggine di un poliedrico valborberino che è a metà strada fra il visionario e l’uomo concreto che sa che i frutti della terra arrivano se la si sa coltivare. Fra qualche giorno, si stapperà non solo idealmente la prima bottiglia di Barbera, tornata a essere coltivata in Val Borbera. Una lettera (Borbera e Barbera) che fa la differenza e che sottolinea come ci sia ancora qualcuno in quella valle che ama andare oltre, ricercare le radici della sua terra per potere consegnare ai posteri qualcosa che viene dal passato, è stato riscoperto nel presente e sarà oggetto di memoria e ricordo nel futuro.

L’autore di questo progetto è Gianluigi Mignacco. Il titolare dell’Azienda Agricola ‘Battilana 1850’ qualche anno fa decise di tornare a produrre la Barbera in valle. Lui ha base operativa a Cantalupo e il progetto è stato sviluppato su terreni di proprietà della sua famiglia dal 1850: «Il nome Battilana 1850 ha una storia tutta sua. Per anni ho cercato di capire perché queste terre si chiamassero così. Mille congetture, ricerche, indagini coi miei vecchi ma nulla di certo. Poi, quasi per caso, dal catasto napoleonico ho finalmente capito il nome di quelle terre. Erano di proprietà del ‘signor Battilana’ che li vendette ai miei antenati. Insomma un nome di persona e non un toponimo».

In quelle terre diventate nuovamente terre da uva, Gianluigi Mignacco ha avuto l’intuizione che in queste settimane si sta concretizzando. Tornare a coltivare la Barbera per produrla in purezza. Contìnua Mignacco: «In passato in Val Borbera il/la Barbera era coltivata, ma i contadini la mischiavano con altre qualità di uve come il Nebbiolo o altre uve nere. Perché allora la filosofia era di produrre uve per berle in famiglia in inverno, insomma un’economia domestica. Oggi invece il vino richiede standard qualitativi e per farlo dobbiamo lavorare seguendo i disciplinari».

Nel 2020 l primi impianti di viti in valle, quest’anno una prima microvendemmia che fra qualche settimana si tradurrà nella prima bottiglia di Barbera aperta e stappata. Una fatica importante e un piccolo grande traguardo per chi crede nella val Borbera e lo dimostra coi fatti. Perché Gianluigi Mignacco, personaggio a tutto tondo ma con salde radici nelle terre che da sempre conosce, è persona che quando si mette in testa un’idea la porta a termine e quella di imbottigliare Barbera è nel suo modo un sistema per dimostrare a se stesso prima che agli altri che quel vitigno può essere prodotto anche in montagna. Ha contribuito il cambiamento climatico che stiamo vivendo perché qualche decennio addietro quell’idea sarebbe stata più complicata da realizzare ma non impossibile.

Continua Mignacco: «Anche quando vent’anni fa mi misi in testa di produrre il Tìmorasso qualcuno storse il naso o mi sconsigliò ma ci sono riuscito. Ora ci ho riprovato con un rosso tipico del Piemonte. Contiamo a regime di produrre circa tremila bottiglie della nostra Barbera».

Perché le prime bottiglie dì quel vitigno saranno destinate alla cantina dell’azienda agricola e a qualche giornata di degustazione riservata a chi ha collaborato al progetto, non ci sarà una vendita di questa ‘annata zero’ in attesa che i vigneti producano quantità maggiori di uva Barbera.

Anche perché il secondo sogno di Mignacco è tutto legato alla tradizione e alla storia della valle come spiega il diretto interessato: «In passato il vino era conservato in botti di castagno. Mio nonno Alfonso infatti era quello che oggi si definirebbe un Mastro bottaio, mestiere che ci ha lasciato una memoria: molte delle botti che lui ha realizzato e che sono nella nostra cantina non più usate per la vinificazione. Il mio progetto è proprio quello di tornare a vinificare il Barbera nelle botti di castagno come un tempo, anche perché era il genere e il tipo di legno più diffuso sui monti d’Appennino. Sarebbe un ritorno alle origini».

Quelle di una persona che ama la sua terra e che non dimentica il suo passato.

Maurizio Iappini

(Articolo tratto dal giornale “Panorama di Novi” del 12/01/2024)

L’uva Barbera è il terzo vitigno a bacca rossa più coltivato in Italia ed il più diffuso in Piemonte, dove arriva a coprire poco più di un terzo dell’intera superficie vitata. Si tratta di un vitigno dalle ottime rese che dà vita ad un vino dal colore intenso, dal corpo pieno e dalla grande freschezza. Un’ottima alternativa a Chianti e Nebbiolo che negli ultimi anni ha trovato nuovo lustro grazie al lavoro di alcuni produttori.

Caratteristiche del vino Barbera

Storicamente il Barbera leggero e aspro è sempre stato il classico vino da pasto che si trova su tutte le tavole piemontesi, qualcosa con cui innaffiare la meravigliosa cucina locale, aprendo la strada in occasioni speciali a una bottiglia di un vino rosso più nobile a base di uve Nebbiolo.

Colui che per primo ha messo questo vitigno su un piedistallo è stato Giacomo Bologna della tenuta Braida con il Bricco dell’Uccellone prodotto con rese volutamente basse in vigna e invecchiamento in barriques di rovere francese, metodo preso poi come esempio da molte altre cantine in particolare della zona di Alba.

I vini prodotti con quest’uva sono particolarmente fruttati, con bouquet aromatico complesso in cui possono essere ritrovati sia sentori floreali e speziati di vaniglia, che note di frutta nera e rossa.

Si tratta di un vino dal colore rubino intenso, ma generalmente leggero all’assaggio, che spicca per sapidità, buon corpo e una piacevole acidità.

La maturazione in botti di legno conferisce a questa tipologia una maggiore struttura ed una migliore armonia, in quanto permette di smorzare l’acidità intrinseca donata dall’uva.

Tratto da https://www.svino.it/it/blog/post/barbera-vitigno

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