Dova Superiore, riparte la storia della locanda del Maggiociondolo

Il Maggiociondolo non è solo una locanda nel verde dell’Alessandrino, ma una questione di famiglia: un impasto di mattoni e ricordi, tirati su dai Barattino, con l’aiuto di un prete – don Luciano – e di un intero paese, Dova Superiore, frazione di Cabella Ligure.

«Tra quelle mura giocavo a nascondino da bimbo, in quei casolari ci è passato ogni abitante di Dova, ogni componente della mia famiglia: ecco perché, quando stavamo per perdere tutto, ho deciso di mettermi in gioco, col fondamentale aiuto di mia moglie Silvia». A parlare è Danilo Barattino, genovese, che lo scorso anno ha acquistato la struttura per non vederla sparire. Era stato suo padre Livio a posare la prima pietra della locanda, sul finire degli anni ’80. Venne aiutato da suo padre e da don Luciano. «Nessuno aveva chiesto un euro per quel lavoro o per gestirla, ma tutti avevano voluto contribuire – racconta Danilo – La struttura è andata avanti per oltre un quarto di secolo, gestita dal sacerdote, che oggi ha 85 anni. Ma negli ultimi anni non è più riuscito a starci dietro».

Il rischio era la chiusura, «così abbiamo deciso di comprare e ristrutturare». La firma più importante l’ha messa papà Livio: «Non dimenticherò mai la sua faccia quando dal notaio ho firmato il compromesso: lo sguardo gli si è illuminato. Stava realizzando il suo sogno». Da allora, Livio, Danilo e Silvia hanno lavorato giorno e notte per un anno. «Mio padre ci ha messo tutto sé stesso – ricorda Danilo – E sembra quasi che abbia aspettato di finire l’ultima tettoia per andarsene, lo scorso maggio. Ecco perché per me la struttura ha un valore inestimabile».

La locanda del Maggiociondolo, nome scelto da don Luciano il giorno in cui, iniziando i lavori, si piantò anche il seme del celebre albero dai fiori gialli accarezzato dalla brezza di maggio, stava rischiando di finire in cattive mani: «Prima di impegnarci personalmente, avevamo cercato dei gestori – racconta Danilo – ma arrivavano solo pirati, persone che non avevano a cuore né la locanda, né il paese: solo il business a costo zero. Questi luoghi si amano o perché ci si è cresciuti, o perché hanno particolare valore per chi li frequenta». E a farlo sono state tantissime persone: è in questa zona la quinta tappa del “Cammino dei ribelli”, 130 chilometri sull’Appennino tra banditi e partigiani, contadini e camminatori, incontrando i testimoni di un’ostinata rinascita.

E rinascita è la parola giusta anche per la locanda che riaprirà dopodomani, con 50 posti a pranzo e a cena e 6 camere. «Era fondamentale difendere questo presidio e tutto il paese ha fatto cerchio attorno a noi – racconta Danilo – La locanda è cruciale, anche perché il primo posto dove poter prendere un caffè o una birra è a Cabella, a 12 chilometri da qui». Chi passerà non troverà sfarzo o chef stellati: «È la locanda di un piccolo paese, con un’atmosfera familiare, quella che respiravo da piccolo – conclude – Qui è come a casa».

Alessandra Rossi

https://www.ilsecoloxix.it/ (29/06/2023)

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