Gli artigiani di S. Stefano d’Aveto, i falegnami artisti del legno

La strada acciottolata che, partendo dalla Piazza del Castello, attraversa il centro storico di S. Stefano, dopo un breve tratto in discesa svolta decisamente a sini­stra, formando un angolo retto e proseguendo in piano fino alla Piazzetta del Mercato.
Un tragitto di neppure cento metri, ma ricco di storia, di botteghe, di fer­vore e di attività: il vero cuore del paese.
In questa zona, chiamata appunto Via al Castello o anche “a cuntrà” (la contrada), hanno sede i due laboratori di falegnameria di Pellegro e Giuseppe Cella, situati a poca distanza l’uno dall’altro.
I due falegnami non sono parenti prossimi, ma certamente provengono dal quel ceppo dei Cella che già nel 1700 a S. Stefano si dedicava alla lavorazione del legno.
Il fatto che il lavoro di questi artigiani si svolga ancora in una via centrale e non in un grande capan­none di periferia, la dice lunga sulle caratteristiche della loro attività. Qui non si fabbricano in serie enormi quantità di mobili e infissi: qui si produce, o meglio si crea, in misura modesta ma con risultati straordinari, tutto ciò che dal legno si può ricavare per rendere confortevole una casa.
I due artigiani lavorano praticamente da soli o al massimo con un aiutante; poiché la domanda è molta ma le braccia sono poche, le attese dei clienti si pro­traggono spesso per lunghi periodi.
Scendendo un giorno per la via, appena svoltato l’angolo, scorgo una bella signora di Rezzoaglio che se ne sta tranquillamente seduta sulla soglia della bottega di Pellegro. Ripas­sando dopo un’ora la vedo ancora lì:
Scusa eh… ma cosa stai facendo?
Faccio sit-in. Sit… cosa? Ma voi di S. Stefano oltre che inaffidabili siete anche ignoranti! Sit-in è un modo di protestare stando seduti su un luogo pubblico fino a quando le proprie rimostranze non vengono ascoltate.
Come Pannella? Ecco, bravo! Solo che lui fa anche digiuno, mentre io mi sono portata una buona scorta di viveri.
Ma perché? Hai intenzione di starci tanto?
Può darsi che rimanga qui anche diversi giorni e notti, finché Pelle­gro non si accorgerà di me e non verrà a casa mia a finire la scala cominciata sei anni fa!
Campa cavallo… e… buona fortuna!
Pellegro è proprio così. Esclusi i lavori gratuiti, che vengono eseguiti immedia­tamente a tempo di record, quelli a pagamento restano in sospeso per mesi o per anni. Poi, improvvisa­mente, quando scatta nel loro autore una specie di raptus, vengono terminati in un batter d’occhio, ma comunque sempre in “zona Cesarini”. Un consiglio: se vi sposate non ordinategli la camera da letto; sarebbe capace di venire a dare gli ultimi ritocchi durante la prima notte…
Per il resto la sua è vera­mente l’opera di un artista: non per niente ha eseguito tutti i lavori in legno al Grand Hotel e nella villa del Marchese Bombrini, anche se non sono mancati diverbi e rapporti burrascosi col suo committente. D’al­tronde, “si licet parva componere magnis” sembra che anche Michelangelo mentre affrescava la Cap­pella Sistina avesse spesso da dire col suo datore di lavoro, il papa Giulio II.
Con un talento così non sempre è facile convivere (ci riescono solo la moglie e la figlia), perché ad ogni minima imprecisione dei suoi collaboratori si accende come un fiam­mifero facendo fuoco e fiamme (per fortuna, dato il materiale circostante, solo in senso figurato).
Da poco tempo è in pen­sione, ma continua la sua attività anche se con ritmi un po’ più blandi: si alza il mattino alle sei, va nella bottega, mette in moto bindelli, pialle e trapani, dandosi da fare fin verso le otto. Quando ha svegliato tutto il vicinato sospende il lavoro, va al bar e prende il caffè insieme a Giuseppe. Ma, mentre quest’ultimo si reca in bottega, lui rimane lì tutta la mattina a raccontar storielle e aneddoti locali. Riprenderà a trafficare nel pomeriggio all’ora della pennichella…
Solo pochi metri sepa­rano la bottega di Pellegro da quella dell’altro fale­gname. Più giovane del suo collega, Giuseppe ha girato il mondo facendo il marinaio. Poi, deciso a metter su famiglia, è approdato al suo paese subentrando nel laborato­rio di suo padre. Fare il falegname ad alto livello gli è riuscito subito del tutto naturale, perché il legno l’ha sempre avuto nel sangue, o come si dice oggi, nel DNA.
Anche lui costruisce serramenti, tavoli, scale, armadi su misura per tutti gli appartamenti della Val d’Aveto. Se avete bisogno di lavori accurati e perfetti, ma anche unici ed originali, andate nella sua bottega, ma senza fretta, perchè anche lui ha i suoi tempi, anche se finora non s’è ancora visto nessuno a fare sit-in davanti alla sua porta.
Accompagna il suo lavoro con pregevoli melodie, purtroppo spesso appena percepite dai passanti, sovrastate come sono dal rumore della pialla o della “toupie”. Ma quando le macchine sono spente molti rallentano il passo per apprezzare appieno la sua voce rotonda e baritonale. Colonna portante del coro del Complesso Musicale, ha un repertorio vastissimo e di vario genere. Passa indifferentemente dal “Te Deum” di Charpentier alla “Scoresella” di autore ignoto.
Tra un canto e l’altro il suo lavoro va avanti spedito e origina veri e propri capolavori. Non per nulla alcune sue opere adornano la nostra chiesa ed il suo nome è già entrato, insieme a quello della buonanima di suo padre, nella “Guida al Santuario di Nostra Signora di Guadalupe”, redatto dal parroco don Eraldo.
Passa gran parte del suo tempo libero dedicandosi a …lavorare il legno. Sì, perché il tornio posto in un angolo della sua bottega gli serve per i momenti di relax. E qui al tornio nelle ore serali si diletta a forgiare oggetti straordinari: piccoli gioielli in legno di olivo o di pero che poi adorneranno la casa; sua. Perché nessuno è mai riuscito a comprare un prodotto del suo passa­tempo. Al massimo, in un momento di generosità, preferisce regalarlo.
I falegnami di S. Stefano sono così; quelli degli altri paesi non saprei. Ognuno avrà senz’altro le sue carat­teristiche più o meno ori­ginali. Ma di una cosa sono convinto: per fare questo mestiere occorre saper coniugare la concretezza con la fantasia, il senso pratico con la precisione, l’ingegno con la manua­lità. Se non hai queste doti ti conviene fare un altro mestiere. Magari il postino.

Cristoforo Campomenosi

(Articolo tratto dal N° 16 del 25/04/02 del settimanale “La Trebbia”)

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