Settembre 1944 – Una Spy Story in Val d’Aveto

Il 27 Settembre 1944, il Maggiore Girolamo Cadelo, comandante del Gruppo Esplorante della divisione alpina “ Monterosa”, fu mortalmente colpito in un agguato stradale tesogli da un nucleo di patrioti della brigata “Berto”. L’imboscata avvenne nei pressi di Brizzolara, frazione del comune di Borzonasca, sulla strada provinciale che da Rezzoaglio conduce a Chiavari. Cadelo era nato a Trapani nel 1906, in una famiglia dell’aristocrazia siciliana. Fascista integrale e fanatico, aveva partecipato alla campagna sul fronte russo in qualità di ufficiale dei Lancieri di Novara. Dopo le vicende armistizialidell’8 settembre 1943, aveva aderito alla neo costituita Repubblica Sociale e fu inserito nella divisione alpina “Monterosa”, una della quattro divisioni dell’esercito repubblicano addestrate in Germania. Alla fine di Luglio 1944, la Monterosa venne schierata lungo la riviera del levante ligure, da Bogliasco a Levanto, per fronteggiare un paventato sbarco anglo-americano.
In quel periodo le prime formazioni partigiane iniziarono ad agire nell’entroterra genovese attaccando le autocolonne ed i presidi militari germanici e fascisti, ponendo così una minaccia alla sicurezza delle vie di comunicazione tra la Liguria e la Valle Padana. Il comando della Monterosa rispose schierando alcuni reparti nelle valli Trebbia ed Aveto. Tra questi reparti vi era il Gruppo Esplorante comandato dal Maggiore Cadelo che insediò il suo comando presso le scuole di Borzonasca. L’ufficiale iniziò ad esercitare le sue funzioni mostrando particolare durezza nei confronti della popolazione civile e dei suoi subordinati. L’accanimento e la spietatezza con le quali si impegnò nella repressione del fenomeno resistenziale seminarono presto nelle valli Aveto e Trebbia il terrore e lo sgomento. Domenica 6 agosto a Caregli, nel pieno svolgimento della festa patronale, Cadelo irruppe nella piccola frazione. Dopo aver chiesto i documenti d’identità a tutti i presenti, individuò tre giovani renitenti alla leva, li apostrofò a dure parole accusandoli di essere i responsabili dell’aggressione di un fascista locale, quindi, dopo sommari accertamenti, li fece fucilare. Da quel giorno la spirale di violenza subì una tragica accelerazione.
Gli abitanti della Val d’Aveto iniziarono ad indicare il maggiore come il “barone nero” o “caramella” per il monocolo che era solito portare. Nel frattempo le azioni delle formazioni resistenziali divennero sempre più frequenti, al punto da indurre il comando germanico, responsabile della lotta anti-partigiana, ad organizzare per la fine di agosto un’operazione di rastrellamento che avrebbe interessato le provincie di Piacenza, Genova, Alessandria, Pavia e Parma. Alla divisione Monterosa venne assegnato il compito di rastrellare le valli Trebbia ed Aveto per poi congiungersi a Bobbio con gli altri reparti provenienti dall’Oltrepò.
Il 27 agosto i partigiani attaccarono una colonna di alpini ad Allegrezze in Val d’Aveto, causando morti e feriti. In ausilio al reparto attaccato venne inviato uno squadrone al comando del maggiore Cadelo che, appena giunto in loco, fece fucilare per rappresaglia Antonio Brizzolara, nativo di Allegrezze. Fu ordinato quindi un pattugliamento concentrato della zona. Presso il ponte di Boschi furono trucidati due ragazzi che transitavano sul greto del fiume Aveto: Pagliughi Mario e Ghirardelli Luigi. Quello stesso giorno, i soldati della Monterosa incendiarono la canonica di Brignole, in comune di Rezzoaglio. Il maggiore Cadelo, due giorni dopo, fece bruciare tutte le case di Allegrezze, accusandola comunità locale di connivenza con i partigiani. Il 2 settembre a Santo Stefano d’Aveto condannò alla fucilazione l’ex carabiniere Albino Badinelli. Il giorno 7 altri due civili furono passati per le armi a Rezzoaglio. Dopo la conclusione del rastrellamento il Gruppo Esplorante restò di presidio tra Rezzoaglio, Santo Stefano e Borgonovo. Cadelo insediò dunque il suo comando presso l’albergo Americano di Rezzoaglio ed iniziò a maturare la personale convinzione che la popolazione dell’alta Val d’Aveto, in particolare la comunità di Santo Stefano, fiancheggiasse i partigiani. Fece così arrestare il parroco del paese Don Casimiro Todeschini ed altri 9 residenti, tra uomini e donne, imprigionandoli a Rezzoaglio. Decise inoltre che Santo Stefano avrebbe subito la stessa sorte di Allegrezze; in questo caso però alcuni ufficiali del suo reparto espressero la loro contrarietà.
Il comando della divisione partigiana “Cichero” venne a conoscenza del pericolo che correva il paese. Non si ha la certezza di chi informò i patrioti anche se, recentemente, il partigiano Costante Lunetti “Caronte”, intervistato per un documentario dedicato al comandante “Bisagno”, ha raccontato che tra gli ufficiali della Monterosa ve ne era uno che informava in anticipo i partigiani su tutte le operazioni della divisione. In ogni caso il comando della “Cichero” stabilì di porre fine al terrore seminato da Cadelo con l’obiettivo di un’imboscata pianificata per il 27 settembre. L’organizzazione dell’agguato fu rocambolesca. Secondo la cronaca di fonte resistenziale e le testimonianze raccolte da Don Michele Tosi, quel giorno tre patrioti della brigata “Berto” fermarono, presso Cabanne d’Aveto, due militi motociclisti della Guardia Nazionale Repubblicana (Palladini Edmondo e De Luca Giuseppe): due partigiani indossarono le divise tolte ai militi, inforcarono le motociclette e recarono al maggiore Cadelo un falso messaggio che lo convocava presso il comando divisionale di Terrarossa. I “militi” rimontarono poi sulle moto e percorsero la strada a ritroso sino all’altezza del Rio Bottazzo dove abbandonarono i mezzi. Cadelo partì da Rezzoaglio con la sua automobile e la scorta. In località Molini incontrò una pattuglia di alpini che gli comunicarono di aver ritrovato le due moto abbandonate. Egli, intuendo il pericolo, fece ritorno a Rezzoaglio. Convocò l’arciprete Don Luigi Pagliughi e gli ingiunse di ritrovare i due militi scomparsi, altrimenti avrebbe fatto fucilare i dieci ostaggi arrestati a Santo Stefano, compreso Don Todeschini. Successivamente ripartì per Terrarossa, andando incontro al suo destino. Tre partigiani si erano appostati nel bosco in prossimità di una curva in località Brizzolara. All’apparire dell’auto del Maggiore, il partigiano “Macario” sparò una raffica di mitragliatore che colpi l’ufficiale seduto accanto all’autista. Cadelo fu trasportato precipitosamente a Chiavari presso l’ospedale della Croce Rossa, dove giunse cadavere.
In Val d’Aveto e a Santo Stefano si sparse nuovamente il terrore per una possibile rappresaglia. Don Todeschini ricorda che, chiedendo ad un sottufficiale della Monterosa se il Maggiore fosse deceduto in seguito alla sparatoria, questi rispose candidamente: “Speriamo”.
Pochi giorni dopo giunse a Rezzoaglio il Maggiore Faccioli del battaglione “Ivrea” che provvide anzitutto alla liberazione dei dieci ostaggi di Santo Stefano.
L’incombente minaccia di distruzione svanì e con essa il clima di paura che il Maggiore Cadelo aveva diffuso. Non si può escludere che proprio la crudeltà dei metodi del Cadelo, disapprovata anche da alcuni ufficiali della Monterosa, alla luce anche di quanto dichiara il partigiano Lunetti, abbia dato luogo ad una sorta di sinergia di intenti che ha favorito le circostanze dell’agguato.

Alessandro Brignole

(Articolo tratto dal N° 36 del 8/11/2018 del settimanale “La Trebbia”)

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