Il mulino di Ottone detto “dei Principi”

Analizziamo il Mulino di Ottone detto “dei Principi” o “Murin du Canneiu” e, più tardi, “Murin du Nanni”, che ha origini medioevali.
Nel secolo XII infatti, contemporaneamente al Castello, i Malaspina fanno costruire un mulino sull’esempio di quelli attivati dai religiosi. Gli attuali proprietari hanno avuto in visione un disegno a china, inviato loro dall’Amministrazione Doria Pamphilj di Roma e risalente all’inizio del 1300, periodo malaspiniano dello “spino secco”. In esso è raffigurato un piccolo cascinotto con una piccola ruota in legno. In quel tempo era signore di Ottone, di Orezzoli e di altre parti della Val Trebbia, Morello dei Malaspina, discendente del ramo di Corrado dello “spino secco”. Successivamente in un atto rogato dal notaio Giovanni Lisi, il 3 settembre 1470, si trova l’attestazione che il territorio di Ottone è ancora in comune tra i Malaspina di Val Trebbia.
Durante questo periodo storico il mulino forse non ha subito trasformazioni degne di trascrizione, in quanto non si trovano notizie.
Nel ‘500 i Doria, subentrati ai Fieschi, lo rinnovano completamente. “Inviano da Genova ad Ottone uno specialista in mulini che devia parte delle acque del rio di Ottone in un profondo serbatoio scavato nella roccia, onde disporne in abbondanza.

Lungo il condotto colloca dispositivi in pietrame, calce e metallo, vere e proprie valvole, in grado di annullare il flusso o di regolarlo stabilmente: in tal modo alle ruote non giunge goccia d’acqua o ne perviene costante la quantità voluta, capace di imprimere alle macine potenza e velocità funzionali alla farina da produrre. Un congegno semplice ed efficace consente al mugnaio il blocco delle macine e delle ruote esterne, ovvero di avviare con delicatezza il movimento, frenarlo, sospenderlo.
L’energia prodotta dalle ruote ha direzione orizzontale, essendo concentrata sul loro asse, ma grandi e robusti ingranaggi, anche conici, un lungo albero e diversi perni la traducono in verticale e la trasferiscono alle macine, alle tramogge, ai setacci meccanici”. Citando ancora l’Archivio Doria Pamphilj di Roma, risulta che alla fine del XVI secolo, nella Val Trebbia i mulini di questo tipo, cioè i “camerali” (appartenenti alla camera principesca dei Doria) erano una trentina. I feudatari imponevano ai censuari (chi doveva pagare il tributo) di servirsi dei loro mulini, vietando il ricorso ad altri sistemi di molitura.
Le evidenti ragioni economiche, che spingevano i proprietari ad un simile atteggiamento, si infrangevano però con le buone argomentazioni del povero curtense (abitante del feudo). La modesta quantità di granaglie di cui disponeva non giustificava il grave disagio dovuto alla notevole distanza che lo separava dalla macina: per questi ed altri motivi il curtense preferiva continuare a macinare a mano. A questo punto i feudatari dichiararono guerra alle mole domestiche e con l’aumento della popolazione e quindi della produzione agricola, si consolidò la consuetudine di ricorrere al “mulino pubblico della corte”.
Spostandoci a tempi più recenti è Giovanni Casazza da Canneto di Gorreto, bisnonno dell’attuale proprietaria, emigrato negli Stati Uniti, che acquista il mulino da persone di Ottone, ma residenti a New York: i signori Danovaro di Moconesi, che a loro volta l’avevano comperato da Ferrari di Cabella, podestà farmacista di Ottone, al quale i Doria l’avevano venduto con il castello. Sull’atto redatto nella città di New York nel 1884 risulta acquistato un fabbricato “ad uso mulino” con due ruote e due palmenti (macine), con un laboratorio al primo piano per la lavorazione della canapa detto “mulino dei Principi”.
Il Casazza apporta significative trasformazioni.
Il mulino viene privato del tetto, sostituito da un terrazzo; aggiunte la costruzione alle spalle e quella laterale; la ruota superiore in legno sostituita con una in ferro e sistemata accanto alla parte nuova più in alto. Quanto alle lavorazioni, al primo piano il laboratorio per la tessitura della canapa continua l’attività. Il mulino vecchio (parte inferiore) rimane limitato alla macinazione delle castagne, mentre la parte nuova è dedicata al grano in quanto Giovanni Casazza ha fatto arrivare delle mole francesi specifiche.
In seguito dal nipote Nanni viene coperto il terrazzo con un tetto, unite le due costruzioni e migliorata la parte laterale; negli anni ’50 è sostituita anche la ruota in basso, ancora in legno, con una in ferro, al fine di imprimere più forza alla macina.
L’attuale proprietaria, signora Maria Carla, ricorda che negli anni cinquanta e precisamente dopo l’alluvione del ’53, quando le acque del Trebbia in piena distrussero molti mulini, il lavoro era intenso: “già alle quattro di mattina sostavano in attesa muli carichi di grano e di castagne provenienti da Orezzoli e da tutti i dintorni”. Il mugnaio Nanni lavorava sino alle ventitré.
Si ebbe poi un cambiamento nel lavoro con gli anni ’60, quando la gente iniziò a lasciare questa Valle per la città e in questo periodo il mugnaio con il proprio camion faceva il giro dei paesi in provincia di Piacenza e di Genova per ritirare i prodotti da macinare ed alla domenica tornava a consegnare la farina”.

(Tratto dalla pubblicazione “Rovegno e dintorni – …Mulini…,Vita…,Economia…”
Comune di Rovegno – Assessorato alla Cultura
Comunità Montana delle Alte Valli Trebbia e Bisagno
Provincia di Genova)

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