L’Eremo di Sant’Alberto di Butrio

Un luogo fuori dal tempo, sinonimo di silenzio e raccoglimento.

L’eremo di Sant’Alberto di Butrio si trova sui primi rilievi dell’Appennino Ligure, vicino a Pavia, chiuso tra una serie di monti circondati da verdi pascoli.
L’edificazione dell’eremo venne iniziata nel 1030 per mano dello stesso sant’Alberto, che aveva ricevuto il monte e le sue terre come segno di ringraziamento da parte di un nobile locale, cui aveva guarito uno dei suoi figli che era muto.
Il primo nucleo dell’eremo era una chiesetta consacrata alla Madonna, ma in seguito gli eremiti edificarono un monastero di cui oggi ci rimangono il chiostrino e il pozzo.
Col tempo l’eremo divenne una grande potenza spirituale e temporale, al punto che erano numerose le dipendenze dell’eremo collocate tra Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova.
L’avvento della commenda, verso il XV secolo, aprì un’era di decadenza per l’eremo, tanto che nel 1543 gli ultimi monaci furono costretti a trasferirsi altrove, lasciando solo un sacerdote a guardia della chiesa, che nel 1595 divenne parrocchia.
Dopo tre secoli di abbandono totale, in cui il monastero e parte della torre campanaria furono distrutti, nel 1810 le leggi napoleoniche condussero alla soppressione e requisizione governativa dell’eremo.
Solo nel 1900, con la riesumazione dei resti mortali di sant’Alberto, si decise di affidare l’eremo a don Luigi Orione e alla sua Opera della Divina Provvidenza.
Nel 1921 don Orione collocò nell’eremo uno dei rami del suo ordine, noto come gli Eremiti della Divina Provvidenza, che aveva fondato nel 1899, con un sacerdote come parroco.
Il più noto degli Eremiti è fra Ave Maria, che vi visse dal 1923 al 1964, anno della sua morte, conducendovi una vita di grande valore spirituale per santità, preghiera e penitenza.
L’eremo è composto dalla chiesa parrocchiale di Santa Maria e tre oratori comunicanti tra di loro, il primo dedicato a sant’Antonio si trova nella porta d’ingresso, mentre nella navata di sinistra troviamo la cappella del Santo Santissimo, mentre in quella di destra vi è l’originaria chiesa di Sant’Alberto.
Tutti gli affreschi della chiesa solo della fine del Quattrocento sono del 1484, e fino a poco tempo fa erano considerati opera dei fratelli Boxilio, ma è molto più probabile che l’autore sia stato un monaco pittore che a causa della sua umiltà preferì restare nell’anonimato.
Inoltre gli studiosi suppongono che molti affreschi dell’eremo, specialmente quelli dipinti nella chiesa di Santa Maria, siano andati distrutti nel corso dei secoli a causa di alcuni sconsiderati restauri.
Nel 1973, per onorare il nono centenario della morte di sant’Alberto, la chiesa di Santa Maria è stata restaurata e riportata com’era all’origine.

Paola Montonati

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