Trebbia. 118 chilometri di acqua selvaggia.

Sgorga alle falde del monte Prelà, 1.406 metri di roccia d’Appennino ligure. Quasi in vista mare. Ma il Trebbia ha vocazione padana e punta verso l’interno, irresistibilmente attratto dal Po. Inizia sin dalla sorgente un percorso d’infiniti ghirigori che ne accompagneranno l’intero tracciato di 118 chilometri. Un fiume-merletto, che si rilassa dalle serpentine solo nel tratto medio e basso, dopo aver lasciato Bobbio, la piccola capitale della val Trebbia, per dirigersi verso Rivergaro, teatro della battaglia in cui nel 218 avanti Cristo Annibale sconfisse i Romani. E qui il corso d’acqua giunge ormai placato nella pianura piacentina. In una zona che in epoca giurassica, prima che si formasse la catena appenninica, era occupata dal mare, delimitato da rocce di serpentinite, gioia degli appassionati di geologia. Che restano peraltro incantati dinnanzi al massiccio della Pietra Parcellara, enorme monolito a sud di Bobbiano.
È un fiume che non conosce inquinamento, dalle acque nitide, e pare impossibile oggidì – ma il dato è sicuro – garantisce pesca e balneazione ecologicamente corrette. Il tratto più spettacolare del Trebbia è quello che da Bobbio risale verso il borgo di Marsaglia. dove le anse si fanno più strette, incuneate tra pareti di roccia ricoperta da una fitta vegetazione lambita dalla corrente sino alle ghiaie delle spiaggette. Un’infinita sequenza di curve e tratti dove l’acqua scorre vivace formando però a tratti verdissime e tranquille piscine naturali dalle trasparenze tropicali.
La strada statale numero 45 segue in un continuo saliscendi il corso del Trebbia, un valzer di curve ininterrotte attraverso ponti e micro-borghi assopiti. Bobbio è sicuramente il centro più significativo dell’area, con la splendida, preziosa abbazia fondata dall’irlandese San Colombano che rappresentò un faro di cultura e benessere nell’Alto Medioevo. Poi l’ardito ponte Vecchio, detta anche “gobbo”, con gli 11 archi distribuiti lungo 280 metri. E il convento di San Francesco, in attesa di doveroso recupero, le piazze, le vie che parlano ancora dei tempi dei Malaspina, duri signori della regione verde e solitaria in bilico tra Appennino emiliano e ligure, dai tanti piccoli cenobi sparsi ovunque.
Accompagnare il Trebbia è impresa da capogiro ma consente d’immergersi in un mondo “altro” dove la natura è ancora (quasi) identica a sé stessa, dalla bellezza selvaggia, tra fittissimi boschi di lecci, faggi, roverelle e salici che hanno riconquistato campi e pascoli abbandonati. Anche le valli laterali sono incantevoli, come quella di Coli, punteggiata da casali vetusti costruiti con le pietre del fiume e frazioncine sparse alle falde del monte Aserei. A Peli c’è una chiesa dedicata a San Medardo, eretta sui resti di un castello dell’XI secolo, che sorge splendida e solitaria su un bastione naturale, con accanto un monumento alla lotta partigiana che qui fu molto aspra.
D’estate il Trebbia è preso d’assalto dai bagnanti, tanti i milanesi, perché non presenta rapide né dislivelli pericolosi, la corrente è blanda, ci si sistema anche con l’ombrellone sui greti di tondi ciottoli chiari, l’acqua è freschissima, un’arcadia fluviale. Le spiaggette più note, a sud di Bobbio, sono quelle di San Salvatore e della Berlina, di facile accesso. Alzando gli occhi è lì che ci si rende conto dell’impervio canyon scavato dal fiume entro rocce la cui durezza stupisce gli esperti: 160 metri a picco, in cima ai quali si staglia la silhouette della chiesa di Brugnello, delizioso paesino salvato dall’abbandono dei residenti, nota dolente dei luoghi. La chiesa, dedicata ai santi taumaturghi Cosma e Damiano, è costruita sui ruderi di una torre dei Brugnatelli, piccoli feudatari locali. Il comune di Corte Brugnatella, che comprende anche Marsaglia, è costituito da una serie di borghi un tempo posseduti da questa famiglia.
I meandri si susseguono tra gole e picchi, sempre nel verde più assoluto che colora le pozze d’acqua e regala pennellate in tinte forti con le gialle ginestre, e d’autunno, con tutte le tonalità del rosso e del ruggine. Questo tratto del fiume è, ovviamente, prediletto da chi fa canoa e rafting.
Oltre Marsaglia, in prossimità di Ponte Organasco, il Trebbia riceve quasi a cascata le acque del suo maggior affluente, l’Aveto, una discesa prorompente e a forte pendenza dalla valle omonima. Lo spettacolo naturale è notevole e va osservato dalla statale 45 in prossimità della dismessa casa cantoniera rossa. Appena dopo Traschio ci s’inerpica nel fitto dei boschi all’interno della val Boreca, ritagliata tra le pendici selvagge e profonde dei monti Lesima e Alfeo, dagli scorci quasi andini. Zerba è l’unico comune della valle, con una torre in vedetta sull’orizzonte, quanto resta di un castello dei Malaspina. Come gli altri paesi, si rianima in estate ma per il resto del tempo è silenzio o canti d’uccelli. Sui terrazzamenti, campi e vigneti inselvatichiti, meravigliosi fiori spontanei; qualche sentiero ripercorre antiche mulattiere ma il tempo qui va in retromarcia.
Ritornati lungo il Trebbia, l’ultimo paese piacentino è Ottone con la sua casa-torre Malaspina. Oltre, a Gorreto, è già Liguria, nelle terre dei Fieschi e dei Doria, a Montebruno, a Loco, paese ove è sepolto il poeta Giorgio Caproni che amò il Trebbia e ne scrisse. Ancora avanti, ecco Torriglia e altri borghi dove è passata molta storia e dove l’aria profuma di mare: in attesa che la bellezza del Trebbia dia loro un futuro.

Anna Federici

(Articolo tratto dal numero 231 Luglio 2005 del mensile Bella Italia)

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