Quando da Piacenza a Bettola si andava in treno “Littorina esempio di mobilità sostenibile”

Novanta anni fa nel 1933, un anno dopo la sua inaugurazione, fu aperta al traffico la linea Piacenza – Bettola, per poi cessare le sue corse nel 1967. Il suo ricordo è ancora vivo in Valnure.

Il ricordo del sindaco di Bettola
“La mia infanzia è fortemente legata al treno Piacenza-Bettola – spiega Paolo Negri, sindaco di Bettola -. Ricordo benissimo quando, ancora bambino, assieme ai miei genitori prendevamo la Littorina per venire a Piacenza. Ricordo che una delle cose più apprezzate della ferrovia erano le comodità, la comodità di una stazione in ogni paese, con sale d’attesa riscaldate, con il bar e la biglietteria. E così, gli anni da ragazzino, era il mezzo più comodo, sia per me e per i mei amici, di raggiungere Podenzano, dove ci davamo appuntamento per giocare a pallone. E ancora, fino al primo anno di scuola superiore, che venivo a Piacenza, da studente dell’Istituto Geometri al Romagnosi, ma quello fu l’ultimo anno del treno, già dall’anno successivo era stato sostituito con corse di corriere”.

“La Littorina era una risorsa fondamentale non solo per il capolinea di Bettola ma per tutta la Val Nure – prosegue il sindaco Negri -. Il treno, che aveva corse fino a tarda sera, l’ultima era a mezzanotte, agevolava la mobilità sia in direzione della città che unendo i vari paesi. Purtroppo le scelte politiche dell’epoca, dettate dal voler agevolare il trasporto su gomma, rientravano in quella visione della rivoluzione industriale degli anni Sessanta. Se oggi la linea fosse ancora attiva sarebbe di fatto una metropolitana leggera, un esempio di mobilità sostenibile e una attrazione turistica notevole. Inoltre, i convogli delle merci avrebbero senz’altro sgravato la strada provinciale da gran parte del traffico pesante”.

La storia
Nei primi Anni Venti del ‘900 all’Italia occorrevano nuove infrastrutture e tanti italiani, con la fine della Grande Guerra, avevano bisogno di un lavoro. Il Duce diede il via ad un fitto programma di infrastrutture da realizzare lungo lo Stivale. L’Italia – a quel tempo – aveva davvero bisogno di nuovi collegamenti (stradali, ferroviari, telefonici), di debellare la malaria attraverso l’opera di bonifica dell’agro pontino, fino a opere di ingegneria idraulica per irrigazione e raccolta di acqua potabile, nell’ottica anche di creare posti di lavoro. Fu avviata l’elettrificazione della rete ferroviaria, che prevedeva 2100 km entro la fine del 1929 ai quali si sarebbero dovuti aggiungere ulteriori 1600 km nel quadriennio successivo.

“La tendenza – propria dei regimi autoritari – di ascrivere le opere realizzate con il denaro di tutti a gloria di un uomo o di un partito, la propensione a scegliere lavori pubblici di vetrina, che ne consentissero una utilizzazione ai fini di propaganda, definisce meglio le caratteristiche di quel complesso di iniziative, ma non ne sminuisce l’importanza” è il laconico commento del giornalista e scrittore Indro Montanelli, nella sua opera omnia “Storia d’Italia”. Anche il territorio della provincia di Piacenza viene coinvolto in diversi progetti, specie sul piano delle strade ferrate. Sul tavolo la trasformazione delle linee tranviarie, realizzando nuove linee ferroviarie, per Pianello, per Lugagnano e diramazioni per Fiorenzuola D’Arda, il collegamento Piacenza-Cremona e quello Piacenza-Bettola. A seguito del Crollo della Borsa di Wall Street nel 1929, che sconvolse l’intera economia mondiale, solo gli ultimi due progetti videro la luce, mentre degli altri non se ne fece più nulla, le tratte vennero soppresse sostituendole con corse di corriere.

La strada ferrata della Val Nure: da Piacenza a Bettola
Ancora agli inizi del 1920 c’era chi proponeva di ammodernare l’esistente tranvia a vapore, gestita dalla ditta Sift (Società italiana ferrovie e tranvie S.p.A.) che collegava Piacenza a Bettola. Ben presto questa ipotesi venne definitivamente accantonata, in particolare considerando obsoleto il materiale rotabile e con l’avanzare del progresso tecnologico dei mezzi a motore. Nel 1927, una volta decisa la soppressione della tranvia a vapore, venne affidata la progettazione della nuova linea ferroviaria a due docenti del Politecnico di Milano: Marco Semenza e Arturo Danusso, entrambi ingegneri che godevano di grande fama.

Nel libro Prendiamo il Laviosa, di Corrado Bozzano, Roberto Pastore e Claudio Serra, edito da Nuove Edizioni del Giglio (Genova), un intero capitolo viene dedicato alla linea ferroviaria della Val Nure – sono ben venticinque le pagine, ricche di fotografie e disegni dei progetti – dalla storia, alle specifiche tecniche e alla descrizione minuziosa dell’itinerario. “Nello specifico – si legge in un passo del libro – Semenza si occupò degli studi di fattibilità mentre Danusso delle componenti strutturali (ponti e gallerie). Il 7 luglio 1930 presero ufficialmente via i lavori; ogni giorno, per due anni, lavorarono incessantemente 656 operai, e complessivamente l’opera venne a costare 32milioni di lire. Il capolinea piacentino sorse alla destra della Stazione Ferroviaria di Piacenza, a Piazzale Marconi, laddove oggi si trova il centro commerciale di Borgo Faxall. Lo scalo terminale della linea ferroviaria per la Val Nure era composto da tre binari che terminavano con il fabbricato viaggiatori, un edificio del 1880, composto da sala d’aspetto e biglietteria, mentre ai lati sorgevano il deposito e l’officina. La linea era alimentata da corrente continua, generata dalla sottostazione elettrica di Ponte dell’Olio, dalla tensione di 3mila Volt. Da Piacenza a Bettola la linea, per lo più a binario singolo, si snodava lungo un tragitto di 33Km e aveva una pendenza media dell’8,3‰, passando dall’altitudine di 53 metri di Piacenza ai 330 del capolinea della Val Nure. Il convoglio poteva raggiungere la velocità massima 90Km/h e il viaggio durava tre quarti d’ora. I locomotori per i treni merci invece non superavano di norma i 60Km/h”.

La littorina per Bettola
“La trasformazione della linea da tranviaria a ferroviaria assicurò tempi di viaggio dimezzati – viene spiegato nel libro Prendiamo il Laviosa – grazie alle nuove elettromotrici che la ditta Sift commissionò alle Officine Meccaniche Italiane di Reggio-Emilia: un lotto di elettromotrici che vennero soprannominate “piacentine” anche se, per molti ferrovieri, erano “le americane” in quanto rassomiglianti con quelli in servizio nella metropolitana di New York. Il peso di una elettromotrice era di 54 tonnellate. Il primissimo convoglio, composto da due motrici e due rimorchiate pilota, venne consegnato alla Sift dalle Reggiane nella primavera del 1932. Questo convoglio era caratterizzato dall’essere verniciato nei colori giallo paglierino nella parte superiore, rosso granata nella fascia centrale e grigio-marrone della parte inferiore”.

La linea ferroviaria della Val Nure venne particolarmente utilizzata a partire dal 1940, a seguito della scarsa reperibilità dei combustibili, fino allo sfollamento conseguente lo scoppio della 2a Guerra Mondiale. “Questo comportò alla Sift di rimettere in marcia una vecchia automotrice del 1929 e noleggiarne una seconda dalle Ferrovie dello Stato. Ogni elettromotrice garantiva 75 posti a sedere, di cui 18 di prima classe e il resto di seconda classe”. Ovviamente non vi era un impianto di condizionamento, unico sollievo dalla calura estiva era rappresentato dall’abbassare i finestrini, mentre “durante l’inverno il riscaldamento era assicurato da una serie di resistenze elettriche collocate sotto i sedili”.

I bombardamenti della 2a Guerra Mondiale cagionarono danni ingenti a tutta la linea, a questi si sommarono la scarsa manutenzione e l’usura. La Sift si trovò a dover fare i conti con costi esorbitanti non ammortizzabili. “Con il decreto legge luogotenenziale n°346 del 15 ottobre 1944 venne previsto il concorso dello Stato per le riparazioni dei danni di guerra subiti dalle ferrovie concesse all’industria privata. Due anni dopo la fine della guerra, nell’estate del 1947, la linea era stata completamente ripristinata e poteva essere riaperta con una cerimonia inaugurale alla quale presero parte l’allora Vescovo di Piacenza mons. Umberto Malchiodi e il Prefetto di Piacenza Amerigo De Bonis, assieme all’amministratore della Sift S.p.A. Max Fioruzzi”.

“Tra il 1951 e il 1964 ogni giorno si sono contati oltre 2700 passeggeri e oltre 280mila tonnellate di merci trasportate. Tuttavia, ad essere lievitate furono le spese di mantenimento: passate da poco meno di 10 milioni di lire nel ‘51 a oltre 22 milioni di lire nel ’64. Nell’aprile del 1967, la Commissione di tecnici del Ministero dei Trasporti – su istanza dell’allora Ministro dei Trasporti Oscar Luigi Scalfaro – espresse parere favorevole affinché fosse soppressa la linea Piacenza-Bettola. Il 30 aprile dello stesso anno l’elettromotrice fece il suo ultimo viaggio. La linea venne quindi completamente smantellata e la Sift alienò parte del materiale rotabile ad altre aziende ferroviarie italiane. Subentrarono in servizio autobus e presero il via le prime corse effettuate con il Fiat 306”.

Stefano Pancini

https://www.piacenzasera.it/ (06/01/2023)

Foto a colori della Littorina, 1966, archivio fotografico Gaudenzi di Carlo Gaudenzi (Bettola)

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