Il castello di Ottone, le fortificazioni e i feudi imperiali

Possente complesso fortificato, a controllo del “guado” sulla Trebbia e sulle mulattiere ivi confluenti. Domina ampio tratto di valle, quasi a perpendicolo sul rio Fosselino ed il torrente Ventra, marcati confini di levante e di ponente il suo antico borgo. Era considerato inespugnabile ed ancora incute rispetto la notevole mole in pietra ben squadrata, secondo lo stile romanico rustico. Perfettamente conservato, anche grazie alle intelligenti cure dei proprietari, rappresenta una colorata pagina di storia, medievale/moderna, non solo locale.
L’insieme delle fortificazioni consiste in due strutture indipendenti, poste a breve distanza tra loro ed un tempo racchiuse in una stessa cerchia muraria di cui permangono imponenti tracce. La più grande è una massiccia torre medievale, forse l’antico mastio, rimaneggiata nel XVII secolo, mediante corpi di fabbrica disposti lungo i lati, a valle e a monte del nucleo originale. La “ristrutturazione” consentendo il raddoppio delia superficie interna, ha permesso l’ampliamento delle prigioni, la realizzazione di una nuova cappella e dello scalone d’accesso al 1° piano, disponibilità di ulteriori ambienti, per uso militare o signorile.
La seconda torre, giunta quasi intatta fino a noi, è detta “il Paraso” (= il Palazzo) e rappresenta, di certo, la parte più antica ed interessante del fortilizio, con mura a scarpata, di rinforzo e slancio; strette, rare feritoie; eccellente posizione strategica sul sottostante borgo. Emana durezza ed intransigenza, monito chiaro a tutti e, particolarmente, agli utenti del “caminus Januae”, l’antica “camionale”, frequentata nei secoli del basso medioevo e dell’età moderna da mercanti, viaggiatori a diverso titolo, pellegrini… Collegando le città di Piacenza e Genova: era, dunque, strada commerciale d’importanza. Oltre ai mercanti spesso, lungo la mulattiera e le sue diramazioni, facevano la loro sgradita comparsa i “cacciatori di mercanzie” ovvero delinquenza varia, grave piaga di tutto I’ Appennino.
La strada passava presso il castello e i “birri”, miliziani feudali, responsabili dell’ordine pubblico in tutto il territorio dello Stato e con precisi compiti di “polizia stradale”, provvedevano con pugno di ferro a controlli e riscontri, nonché alla riscossione di dazi e pedaggi (azione, forse, maggiormente praticata). Per essere chiari e persuasivi, davvero in modo definitivo, venivano esposti presso le mura, sulla pubblica via, i giustiziati. Duro trofeo di tempi durissimi. Con una certa periodicità, per contrastare più energicamente la malavita incombente, i feudatari ricorrevano ai servizi dei balestrieri provenienti dalla Corsica, mercenari spietati, specialisti in rastrellamenti ed incursioni. Ma la questione del brigantaggio non fu mai completamente debellata, rimanendo ancora per una certa parte dell’800 l’incubo della montagna. I tentativi di rimedio, infatti, si traducevano in semplici palliativi, tanto numerosi erano i malviventi, tanto grande il teatro delle loro gesta (dal Penna Maggiorasca, Bue… al Dego, Alfeo, Lesima… Ovunque, nelle zone montuose, ricche di selve e di nascondigli.
Nel ‘700 i principi Doria, nei feudi imperiali liguri di loro pertinenza, al fine di recuperare almeno in parte, preziosa refurtiva e limitare i danni, consentirono “zone franche”, ossia tolleravano che materiali e manufatti di pregio, sottratti ai mercanti col delitto, potessero tor­nare sul mercato ed essere ricomprati dai loro stessi proprietari o dagli emissari dei Signori a cui erano destinati.
Zona franca importante, nel nostro feudo, era Cerignale (a pochi km da Ottone, ma con gran parte del suo territorio in val d’Aveto), dove per 15 giorni all’anno confluivano nell’immunità più totale banditi di variegato calibro, provenienti soprattutto da lontano, per ovvie ragioni, o i loro fiduciari a scambiare con moneta sonante velluti, broccati, damaschi…
Ancora nei primi anni dell’ottocento, il parroco di Rovegno, essendo la sua Chiesa in posizione eccentrica, per timore dei banditi, lascia l’an­nessa residenza si trasferisce in paese.
Le prime fortificazioni di Ottone sembra risalgano all’epoca longobarda (VII0 secolo), e siano state concepite per la difesa del ducato di Pavia lungo i suoi labili confini con la Liguria bizantina, Più tardi (XII0 secolo), i Malaspina divengono feudatari dell’alta val Trebbia/Aveto Elevano numerose torri di guardia e di controllo nei nostri vari paesi: pubblicano gli Statuti, quali importanti riferimenti normativi nei rapporti con i sudditi e dei sudditi tra loro; sono costretti a ledere progressivamente territori e privilegi ai nuovi potenti che all’alba dell’età moderna cominciano ad interessarsi di noi. Fanno la loro comparsa Fieschi, Centurione, Doria, Principi genovesi, destinati a governarci sino all’estinzione dei feudi liguri, voluta da Napoleone nel 1797. Restano ai Malaspina i marchesati imperiali di Orezzoli e, nel pavese, di Santa Margherita Staffora.

Attilio Carboni

(Articolo tratto dal N° 41 del 26/11/09 del settimanale “La Trebbia”)

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