Campi Vecchio: i ruderi maestosi del borgo e dell’antichissima chiesa cimiteriale di S. Giacomo

Campi “Vecchio”, frazione di Ottone, è stato abbandonato dalla popolazione negli anni Cinquanta del secolo scorso. Uno smottamento improvviso della zona ha compromesso la stabilità delle case rendendole inagibili. Dopo molti secoli di storia si chiudeva per sempre un’era. Pagina dolorosa della nostra montagna che ha provocato disagi, sofferenza e lacrime. Lo Stato ha fatto subito la sua parte. Essendo impossibile o non opportuna la ricostruzione sul posto, sono state finanziate nuove case in località Costa. All’aspetto umano e diretto della disgrazia, agli stati d’animo e sentimenti, di certo drammatici e degni del massimo rispetto, si aggiungeva la perdita di un meraviglioso borgo, tra i più belli dell’Alta Val Trebbia Ligure/Piacentina. Un fiore di pietra sbocciato rigoglioso tra prati e cielo.
Una preziosa fotografia di “Campi Vecchio”, inizio Novecento, mostra antiche case strette in abbraccio fraterno e solidale. Esalta muri in pietra e tetti, variamente elevati. Infinità di sfumature e pure armonie. Intorno pascoli e prati, orti e giardini, sparsi tra ridenti fasce e terrapieni. Un felice territorio degradante tra torrente Senga e fiume Trebbia. Un paese che ammira ed è ammirato dall’Alfeo, monte fiero e meraviglioso, antico Santuario dei Liguri. Con quel popolo Campi non ha mai reciso il cordone ombelicale, almeno in fatto di lavoro, tenace e instancabile; umanità e religione; senso del dovere. Caratteristiche ancora oggi di tutta la nostra gente.
I ruderi, sicuri testimoni di un glorioso passato d’arte e storia, sono ancora numerosi e alcuni in discrete condizioni. Il suolo si è consolidato e non ha aggravato la situazione di partenza. Solo la natura ha fatto il suo corso. Piante, foglie ed erbe hanno steso un verdissimo velo su quel che rimane del borgo, nascondendolo alla vista, pur trovandosi nelle vicinanze, lungo l’antica mulattiera che lo attraversa. I tetti delle case lesionate sono, ovviamente, crollati, apportando, quelli sì, ulteriore gravità alla situazione. Per vedere e rendersi conto di cosa c’era, presumere come fosse, e cosa resta, bisogna farsi largo tra fitta vegetazione.
Querce, faggi, castagni… sono cresciuti all’interno delle rovine e tutt’intorno, rigogliosi, alti, slanciati, alla ricerca di sole, di aria, di vita. Le piante, i rovi e i cespugli rappresentano i nuovi abitanti di Campi Vecchio, unitamente a scoiattoli, faine, donnole; volpi, ghiri e tassi. Qualche serpente, da mettere sempre in conto nelle “Selve selvagge, aspre e forti”, tra densi rovi e sparse rovine, ha rimediato accoglienza e sicuro nascondiglio. E’ possibile che nella zona non manchino cinghiali e lupi che avvertendo per tempo i pericolosi passi dell’uomo se la squagliano in fretta. E fanno bene. Talvolta, tra le piante sembra di udire brevi, misteriose, indefinite sonorità o si ritiene d’ intravvede qualche incerta, sfuggente figura. E’ la brezza leggiadra, intenta a giocare con foglie ed erbe; coi raggi del sole e delicate penombre. Abbondano daini e caprioli dal movimento elegante, snello, sicuro. E’ un piacere osservarli. Purtroppo per poco. Come i pesci nell’acqua, s’immergono in fretta nella vegetazione e scompaiono in recondite profondità di boschi e selve, il nostro “mare” su monti, verdissimi e tenebrosi. Edera tenace e salda si arrampica sui muri. Divaga tra le rovine: tutto ingabbia nelle sue spire robuste. Orna, decora; riveste. Nasconde. Incornicia. Ondeggia ai venti improvvisi e, forse, sussurra alla brezza gentile.
Sarebbe facile continuare la narrazione rimanendo sul filo della poesia, ma a Campi Vecchio c’è molto d’altro da mettere in evidenza e da richiamare con prosa energica e realistica. Così di seguito si trattano ulteriori elementi di quel sito unico, irrepetibile; straordinario.
L’antico cimitero
Appare circondato da mura massicce, ora “Spezzate, smozzicate sgretolate”, sorte, forse, allo scopo di scoraggiare i selvatici a superarle.  Il  “Villaggio dei morti”, terra sacra e venerabile, si espande ampio e pianeggiante.   Nulla  rimanda, però, alle antiche sepolture. Un tappeto di erbe, foglie e muschi, infatti, tutto ricopre, sudario spontaneo, soffice, lieve. Aggirandosi in punta di piedi, nel silenzio rispettoso dovuto ai sepolti, si colgono spunti a riflessioni profonde. L’essere e il divenire. Il già e non ancora. L’immanente e il trascendente. Il prima e il dopo; il durante. Come suggerisce Leopardi:  “Mi sovvien l’eterno e le morte stagioni, e la presente, e viva, e il suon di lei”.
Adiacente al Cimitero, o forse addirittura al suo interno, un rudere in avanzata degrado, è detto “Chiesa di San Giacomo”. Tramandano che fosse stata elevata ab immemorabili, forse ai tempi dei marchesi Malaspina (Sec. XII).   In effetti l’edificio sottostà ai ruderi del castello malaspiniano, posto nei pressi della sovrastante frazione di Aglio (In antico: Arrò).  Forse era stata costruita  ancora prima. O forse dopo, a opera dei Centurione, in Campi Vecchio, sede della loro “Fabbrica” di monete.  Nulla, inoltre, è dato sapere se ci si riferisse a San Giacomo Maggiore o Minore.   Considerato, però, che Campi Vecchio è attraversato da antichissime vie di comunicazione tra Tortona, Pavia Longobarda e il Levante Ligure, è ammissibile presumere trattasi di Giacomo di Zebedeo (Il Maggiore).   Detto Apostolo è considerato “Pellegrino e viandante” per antonomasia, sempre in movimento verso lontane mete e sacri orizzonti.
La Zecca dei Principi Centurione
Poco al di sotto dell’antico cimitero i principi Centurione costruirono la loro più importante zecca, molto attiva fra XVII e XVIII secolo.   Le acque abbondanti del torrente Senga assicuravano per gran parte dell’anno il movimento alle ruote esterne, quindi ai magli corrispondenti.  Stando alle poche  carte e alla memorie degli anziani le ruote sarebbero state tre, poste in successione per recuperare energia. E’ ben vero che “Acqua passata non macina più”, ma ovviamente la cosa vale per lo stesso mulino, non certo per quelli che seguono. Campi Vecchio fu, quindi, un importante centro industriale, altamente specializzato in numismatica.
Antica mulattiera
In diversi punti perfettamente conservata attesta ed esalta la manualità degli antenati.   Era una via di comunicazione di grande importanza e pregio, tra Val Trebbia, Borbera e Boreca, in direzione Piemonte e Lombardia, Liguria.  Commerci e traffici, tipici delle “Quattro Province”, a Campi Vecchio erano transito precipuo.   Non mancavano vagabondi provenienti chissà da dove e verso dove, guardati sempre con sospetto e timore;  pellegrini, soldati…Ed anche contrabbandieri e banditi di variegato calibro, con seguito di aneddoti, leggende, azioni criminali.  Esecrabili imprese di tale brutalità da far rabbrividire, talvolta, gli auditori, raccolti intorno al fuoco, nelle lunghe serate invernali.
Conclusioni
I giovani di Campi, riuniti nella Pro Loco, evidenziano crescente interesse verso il loro paese e per gli antenati.  Vanno molto apprezzati per l’impegno e per gli ideali che li animano.   Sognano, tra le altre cose, la messa in sicurezza di Campi Vecchio, ovvero delle sue rovine: pagine preziosissime di storia dell’arte, non solo locale, ma dell’intera nostra Italia.   Quella particella di meraviglioso romanico rustico, giunta fino a noi, apre finestre, spalanca porte su un mondo, quello della pietra squadrata, di qualità talmente alta da ritenersi tra le migliori in Occidente.   Se si disperde non potrà mai più essere ritrovato e fruito, con la sua lezione di grande civiltà; di pensiero, d’azione, in fatto e prospettiva.   Allora, purtroppo, saremo meno noti a noi stessi, maggiormente confusi e disorientati.  Più poveri, meno belli.
Ringraziamenti
L’autore ringrazia i signori Renzo e Rolando Nobile; Anna Lavezzoli Molinelli e Franca Troglio Zanardi per il prezioso contributo (Informazioni e trasporto), fornito in occasione del sopralluogo in Campi Vecchio da cui la stesura del presente articolo.  La visita a Campi Vecchio è avvenuta il 17 agosto u.s. ed è rientrata nel percorso turistico:  “Alla scoperta del territorio”,  organizzato dalla Pro Loco di Campi nell’ambito del progetto: “Da Annibale a Hemingway”.

Attilio Carboni

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