Aldo Gastaldi Bisagno, l’epopea di un uomo, un mito, combattente e vero cristiano

A lui il titolo di primo partigiano d’Italia. Una delle maggiori arterie genovesi porta il suo nome. Una lapide a suo ricordo si trova al Parco dell’Acquasola nel centro della città che gli ha anche intitolato un istituto di scuola superiore. I suoi resti riposano al Pantheon del Cimitero monumentale di Staglieno. Dal 2009 il nome Aldo Gastaldi è stato inserito nell’agenda pastorale liturgica di servizio e di memoria della Diocesi di Genova ed annoverato tra coloro che hanno onorato la chiesa genovese nel XX secolo.
Nacque a Rivarolo Ligure il 17 settembre 1921. Appassionato camminatore e cacciatore, a 13 anni si recava da solo, a piedi, sulla vetta del monte Antola con un viaggio di 12 ore. Pilone della squadra di rugby dell’Istituto Galilei e canottiere della Società canottieri Genovesi Elpis, fu un vero atleta.
Dopo il diploma è impiegato all’Ansaldo di Sestri Ponente e studente di economia all’università di Genova fino alla chiamata alle armi. Ufficiale dell’esercito regio e addetto a funzioni di marconista, il 25 luglio 1943, mente era in servizio con il suo plotone, distrusse i simboli della casa del Fascio di Chiavari. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, nascose le armi della sua compagnia in una chiesa e, nelle settimane successive, diede vita a una formazione partigiana.
Da quel momento ebbe inizio l’epopea di un eroe del XX secolo, a tutto tondo: schietto, impavido, umile, autorevole.
Fervente cattolico, elabora, per la sua divisione, la “Cichero”, un codice di severe regole di comportamento che tutti i partigiani si impegnavano a rispettare nonostante le condizioni al limite della sopravvivenza. Un codice militare in cui si legge: “…nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti ,… il Capo viene eletto dai compagni, è il primo nelle azioni più pericolose, l’ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario, gli spetta il turno di guardia più faticoso; alla popolazione contadina si chiede, non si prende, e possibilmente si paga o si ripaga quel che si riceve; non si importunano le donne, non si bestemmia”.
Sotto il suo comando la “Cichero”, rinforzata da un intero battaglione di Alpini della Divisione Monte Rosa, la “Vestone” diviene la più temuta formazione partigiana operante in Val Bisagno e Valtrebbia. E’ fermamente contrario alle esecuzioni sommarie e gli Alpini si fidano di lui; a più riprese decisero di disertare per passare con la resistenza.
Nell’inverno l944, la sua strategia delle “buche” si rivela indispensabile e vincente: le Valli dell’Appennino si trasformano in una “Svizzera”, cioè in qualcosa di irraggiungibile dai nazisti.
In montagna, ci furono rastrellamenti e attacchi in forze da parte di tedeschi e fascisti il 22-23-26-27 gennaio, 2-6 febbraio. I partigiani resistono e contrattaccano catturando centinaia di prigionieri: con gli scontri di Cantalupo e Monte Carmo si concluse la battaglia d’inverno portando la vittoria. Gli stessi tedeschi lo riconobbero.
Con poche perdite, mentre le repubbliche di Bobbio (28 novembre 1944) e Torriglia (gennaio 1945) cedevano alla riconquista nazista, Gastaldi decretò il fallimento della manovra nemica.
Fortemente apartitico, quasi certamente monarchico “noi non abbiamo un partito, non lottiamo per avere domani un cadreghino, vogliamo bene alle nostre case, vogliamo bene al nostro suolo”, è sempre più famoso anche tra la popolazione, amato e osannato dai suoi, anche di fede comunista: i partigiani della Jorio cantano il suo nome.
Gli Americani sbarcano in Sicilia ed è ormai chiaro che manca poco alla liberazione.
I commissari del PCI si fanno in quattro per politicizzare le Brigate e trovano la ferma opposizione del comandante che voleva conservare, ad ogni costo, lo spirito libero e patriottico all’interno della Resistenza; lo dice senza mezzi termini: “i partigiani devono pensare con la loro testa e conservare il loro spirito eretico”. Diventa scomodo, un ostacolo alla politica e alla strategia vendicativa delle formazioni garibaldine.
Nel marzo 1945, Gastaldi, che è in continuo movimento in Valtrebbia, è richiamato a Fascia, capitale dello Stato Partigiano. Da li aveva condotto le operazioni militari, elaborato la strategia delle “buche” e preso contatto con gli Americani. E’ un tranello per esautorare il comandante o forse farlo fuori. Intuisce il pericolo e si fa accompagnare dall’amico fidato Elvezio Massai “il Santo” all’epoca dislocato a Loco. I due arrivano all’appuntamento con un folto gruppo di Alpini, “armati fino ai denti, avrebbero sparato se lo stesso Bisagno non li avesse fermati con un cenno della mano”. Ci sono i capi partigiani comunisti; si raggiunge un compromesso da quel momento Bisagno sarà destituito a vice comandante della “Cichero”. Esecuzione soltanto rinviata?
Nell’Aprile 1945, gli Americani gli attribuiscono l’incarico di disarmare i GAP e le altre squadre partigiane cittadine al fine di evitare stragi di fascisti o presunti tali che erano già cominciate.
Da non dimenticare, proprio in Valtrebbia l’episodio della Colonia Levilla di Rovegno. E’ la resa dei conti: il 21 maggio Gastaldi, come promesso, accompagna a Riva di Trento gli Alpini della Vestone. Inavvertitamente, distrattamente, perde l’equilibrio e cade dal camion. Ha 24 anni, mite di carattere, ma un leone in battaglia. Nessuno dei suoi amici, nessuno che lo ha conosciuto può credere a una Versione dei fatti che lo dipinge come un inetto, una sorta di disabile: impossibile! Come Ugo Ricci, Edoardo Alessi, partigiani cattolici morti anch’essi in circostanze inspiegabili, Bisagno ha pagato con la vita per la sua sete di verità e di giustizia.
La sua ansia di libertà, libertà da false ideologie, da falsi miti; lotte per difendere il suo popolo, per affermare un’idea che rendesse gli uomini liberi dalla schiavitù dell’odio, dalla inutile e cieca violenza, “perché il mio Dio e il Dio degli uomini liberi, per questo ci credo”. Lo diceva spesso ai suoi partigiani ed è oggi per noi un monito a non arrendersi nel testimoniare una Verità che, come allora, scomoda e avversata, e la sola che ci rende liberi.

Maria Assunta B.

(Articolo tratto dal N° 8 del 26/02/2015 del settimanale “La Trebbia”)

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