Buffalora – Monte Lavagnola

E’ un sentiero di crinale, molto panoramico, che segue lo spartiacque tra la val Trebbia e la valle Scrivia, fino ad affacciarsi, al monte Lavagnola, sulla Fontanabuona.
Dalla Buffalora, sopra Torriglia, si segue la strada asfaltata verso le frazioni di Scagno e Camandoli, al margine di un fosso con frassini, ontani e sambuchi neri, e si sale al crinale, tra prati a sfalcio e coltivi. Il tracciato diventa una sterrata e presto si restringe fino ad assumere l’aspetto di una mulattiera. L’itinerario si snoda su calcari marnosi e arginiti: sono le rocce sedimentarie, grigio chiaro o brune, formatesi sul fondo di mari che non ci sono più; faranno da substrato a tutto il percorso. Tra le pietre della mulattiera crescono piante poco appariscenti, ma capaci di resistere al calpestio: la piantaggine, con le sue foglie a cucchiaio solcate da cinque o sei nervature, il poligono aviculare, dai riflessi rossastri, e la poa annua, un’umile ma tenace graminacea. Un boschetto di ornielli dalla corteccia chiara e di noccioli si arricchisce di sorbi montani, aceri, ontani bianchi e frassini. Nel sottobosco fresco si incontra il senecio nemorale, un’alta erba dai piccoli fiori gialli, che volentieri vive anche ai margini del bosco, dove fa compagnia al lampone.
Dopo il bosco si esce nuovamente in una zona aperta, con vista sull’abitato di Torriglia, sul monte Prela (o Prelà) e sul crinale che degrada dall’Antola. Nelle fasce abbandonate diventa invadente la felce aquilina: le sue fronde secche, per tutto il periodo invernale, chiazzano di bruno le praterie su quasi tutti i rilievi posti alle spalle di Genova.
Il sentiero corre ora sullo spartiacque, tra rade boscaglie di prugnoli selvatici, rose e biancospini; le boscaglie si fanno più fitte quando compare la ginestra dei carbonai, e diventano quasi dei boschi se ospitano anche l’acero e il sorbo montano. Tra gli arbusti spinosi e appressati trovano nutrimento e rifugio averle, strillozzi e scriccioli: con un po’ d’attenzione potremo individuarne i nidi, celati tra il fogliame più fitto. Lungo la mulattiera, escrementi lasciati in vista sulle pietre permettono di riconoscere il passaggio delle volpi e delle faine, che in questo modo marcano il loro territorio di caccia.
A valle del sentiero si fanno più frequenti praterie degradate, dove infatti la roccia affiora spesso nei punti più ripidi. In queste condizioni ambientali, il ritorno del bosco si fa lento e difficile: è ostacolato dal dilavamento del suolo da parte delle acque piovane, dalle forti pendenze del terreno e dal passaggio del fuoco. I segni dell’incendio si leggono anche nella diffusione eccessiva dei rovi e delle felci aquiline, specie più resistenti al fuoco delle altre. Si sale dolcemente, e nei versanti settentrionali, più freschi, si incontrano boschetti ad ontano bianco, acero e faggio. Il sottobosco ombroso ed umido ospita, tra le altre, la frondosa felce maschio, l’euforbia dolce dal curioso fiore, il geranio nodoso e il senecio nemorale. Qualche gruppo di noccioli e qualche castagno ormai sporadico attestano la presenza di coltivazioni terrazzate, che un tempo salivano fino al crinale. La mulattiera procede ora con lunghi gradini attraverso un bosco di faggio, il tipo di bosco naturale più diffuso nella zona, al di sopra di una certa quota. Sulle vecchie ceppaie e sulle rocce affioranti del sottobosco fanno capolino, tra soffici cuscini di muschio, i fiori pallidi e delicati della meringia, una specie di garofanino a quattro petali.
Quando si esce dal bosco si può ammirare il panorama sull’alta val Trebbia e in particolare su monte Alfeo, ormai in territorio emiliano. La prateria sassosa che segue, arbustata da qualche isolato ginepro di un verde sbiadito, è ravvivata d’estate dalla fioritura dei garofanini selvatici, dell’erba di san Giovanni e della verga d’oro. Si prosegue ancora in un boschetto di noccioli e poco oltre in una faggeta. Nei tratti più aperti e al margine del bosco, i bassi arbusti dell’erica carnea e del mirtillo formano una vegetazione bassa, fitta e omogenea: questo tipo di brughiera deriva in genere dall’azione combinata del taglio del bosco e delle caratteristiche del suolo, in genere piuttosto acido.
Mentre il sentiero procede nel bosco, dapprima mantenendosi in piano e quindi scendendo per un brevissimo tratto, tra i faggi e qualche slanciato cerro appaiono talvolta scorci panoramici sulla valle di Laccio e sulla Scoffera.
La faggeta si dirada ulteriormente e si esce in una landa, dove abbondano gli arbusti tenaci dell’erica. Tra faggi bassi, che in prossimità dei crinali ventosi assumono tipicamente una forma contorta, ci si porta ancora sul versante della val Trebbia. Verso la cima del monte Lavagnola i cespugli di faggio lasciano il posto ad una brughiera e più in alto a un prato pascolo. Da questo punto in poi, verso il monte Lavagnola, il nostro itinerario costituirà lo spartiacque tra il versante padano e quello tirrenico della Liguria. Qui corre infatti il tracciato dell’Alta Via dei Monti Liguri, proveniente dal passo della Scofferra, e diretto verso il monte Caucaso e il Ramaceto.
Le pendici meridionali del monte sono ripide e brulle; sulle rocce argillose e facilmente erodibili attecchisce una bassa pianta grigio-argentata, dall’inconfondibile aroma, presente anche nella macchia mediterranea: l’elicriso. Dalla Lavagnola si apre il panorama, ampio e luminoso, che spazia fino a monte Fasce e al mare. La serie dei valichi e dei crinali intorno alla Scofferra, pur non essendo tra quelle principali, costituisce una via di transito abbastanza importante per l’avifauna migratoria, sia durante il passo primaverile che autunnale: in questi momenti dell’anno, potrebbe essere l’occasione per fare qualche interessante osservazione. Si può proseguire l’itinerario verso oriente, percorrendo ancora un tratto di Alta Via dei Monti Liguri, e scendere eventualmente in val Trebbia dal passo del Portello fino a ponte della Scabbie, sulla Statale 45.

(Articolo tratto dalla pubblicazione “Itinerari naturalistici” della Comunità Montana Alta Val Trebbia)

Lascia un commento