Madonna con Bambino: affresco emerso durante i restauri dell’antica chiesa di S. Stefano a Fontanarossa di Gorreto

Il giorno 11 giugno 2019 presso l’Università di Genova ha conseguito la Laurea in “Conservazione dei beni culturali” Stefano Obino discutendo una tesi dal titolo: “La decorazione pittorica della Chiesa di Santo Stefano di Fontanarossa”. La “ decorazione pittorica” alla quale si fa riferimento è l’affresco rappresentante la Madonna col Bambino emerso durante i lavori di restauro della millenaria chiesa iniziati nel 2015 e curati dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria; del ritrovamento si era subito occupato il professor Attilio Carboni con un articolo pubblicato su questo giornale (Fontanarossa, immagine della Madonna col Bambino ricompare nella Chiesa di Santo Stefano al cimitero, in La Trebbia, 16 giugno 2016) che ne aveva evidenziato l’eccezionalità. Il fatto che ora gli sia stata dedicata una tesi di laurea ne dimostra ulteriormente il significato e l’importanza. La chiesa di Santo Stefano, di probabile fondazione monastica, è databile attorno all’XI-XII sec. e mantiene inalterate molte delle antiche caratteristiche anche se nel corso dei secoli ha subito interventi sulle sue strutture murarie ed agli interni; è ad aula unica con soffitto a capriate, sorge poco discosto il paese di Fontanarossa ed è stata sede della parrocchia fino al 1748 quando essa venne trasferita nella nuova chiesa dell’Addolorata costruita nel centro del paese, più ampia e più vicina ai fedeli. Fontanarossa si trovò così ad avere due chiese e quella di Santo Stefano si trasformò in chiesa cimiteriale e tale rimane tuttora. L o stesso affresco della Madonna con Bambino è in parte contornato da lapidi murate. Stefano Obino ha steso il suo apprezzato lavoro dopo aver fatto numerosi sopralluoghi a Fontanarossa, nel suo territorio e naturalmente nella chiesa di Santo Stefano volendo prendere diretto contatto con l’opera e con l’ambiente nel quale è stata creata e dove è tuttora collocata. Si è inoltre preoccupato di fornire una dettagliata mappa del territorio, delle sue antiche vie di comunicazione che ne garantivano i collegamenti col genovesato, l’alessandrino ed il pavese favorendo scambi commerciali e culturali; ha anche ricostruito la storia dell’insediamento di Fontanarossa passando in rassegna le signorie feudali che lo hanno governato: quelle dei Malaspina, dei Centurione Scotto, degli Spinola Pallavicini e, dal 1787, dei Doria.
In questo suo percorso di avvicinamento all’opera oggetto di studio Obino fa una accurata ricostruzione delle vicende dell’affresco dal momento dell’ affioramento a quello del restauro finendo col descrivere come si presenta attualmente: “L’affresco occupa oggi una porzione di muro di lunghezza non superiore ai due metri ad una altezza di circa un metro dal pavimento e si sviluppa in elevato non oltre i due metri e mezzo. Al centro si trova raffigurata una Madonna in trono con il Bambino. Le due figure occupano la parte meglio conservata dell’affresco e sono le uniche ancora ben delineate e identificabili. Alla destra del trono contro uno sfondo di tonalità bruna si delinea il contorno di un’aureola forse appartenente ad un santo. Le linee che delineano l’ovale del viso della Madonna sono abbastanza sbiadite, attorno alla nuca si dipana il velo che si presenta lineare e con un andamento solidale alla fronte per poi dare vita ad un ondeggio che genera piccole ombre sul tessuto stesso scendendo lungo il viso. L’aureola presenta un color giallo ocra ed è divisa in due sezioni che formano quasi due cerchi concentrici, la prima presenta la coloritura più marcata ed è percorsa lungo tutta la superficie da corti raggetti radiali di cui la nuca della Madonna rappresenta il centro di emanazione. La sezione esterna è più sottile e di colore più chiaro.
Attorno al vispo volto del Bambino si sviluppa la forma della testa incorniciata da due ciuffi biondi attorniati dall’aureola orientata con l’inclinazione della testa. I lineamenti della guancia si fanno confusi mentre il mento tondeggiante risulta più chiaramente delineato. Il collo è visibile solo tramite la linea nera che ne stacca il contorno dalla linea del mento per poi descrivere l’arco della spalla sinistra, la spalla destra è un altro arco che continua fino all’allungarsi della veste decadente del braccio; meno chiare ma visibili sono le mani aperte e rivolte con le palme verso l’esterno. Madre e figlio sembrano appoggiarsi sopra un trono di stile tardo gotico ma i tratti rimanenti descrivono solo parte dello schienale”. L’acutezza di analisi del giovane studioso si manifesta in modo particolare nella stesura di quelle che egli chiama “ipotesi ricostruttive” cioè i vari tentativi di fare un’approssimativa ricostruzione di come l’affresco doveva in origine apparire. Per questa operazione utilizza raffinate tecniche grafiche e fotografiche e comparazioni con opere che possono fornire un utile riscontro, tra di esse gli affreschi dell’Eremo di Sant’Alberto di Butrio in Val Staffora nell’Oltrepò Pavese, la Lactatio (Madonna che allatta) attribuita ai fratelli Boxilio dell’Abbazia di Rivalta Scrivia nel comune di Tortona, gli affreschi della Chiesa di San Guniforte a Casatisma (PV) ,l’affresco della Madonna in trono con Bambino ed angeli in San Michele di Pavia, la Madonna con Bambino nella cripta dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio. Utilizzando l’analisi stilistica Stefano Obino risolve poi il delicato il problema della datazione dell’affresco da lui collocata a metà del Quattrocento: “Le sue forme sembrano derivare da una matrice gotica comune anche agli altri affreschi presi in esame. Queste corrispondenze descrivono una koinè artistica caratteristica delle valli interne dove alla devozione popolare si vede più volte corrispondere una rappresentazione semplice, espressione di una cultura attardata che spesso si ripeteva in moduli costanti sebbene unica nel suo genere per chi viveva nella valle. I ritrovamenti come quelli di Fontanarossa, dimenticati e nascosti ma fortunatamente non distrutti ci riportano ad un passato ricco di immagini nelle quali la popolazione si riconosceva e si confrontava”. Numerose essendo le opere pittoriche nelle chiese dell’Alta Val Trebbia in attesa di accurate analisi storico-estetiche ci auguriamo che il genovese Stefano Obino nei suoi prossimi studi voglia ricordarsi di quanto di pregevole dal punto di vista artistico offre la nostra amata valle.

Giovanni Salvi

(Articolo tratto dal N° 23 del 27/06/2019 del settimanale “La Trebbia”)
(La fotografia della chiesa di Santo Stefano a Fontanarossa è di Giacomo Turco)

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