Le sorelle maestre di pizzo al tombolo che nel ’44 si rifugiarono in val Trebbia

Hanno nuova vita i manufatti delle sorelle Clara e Laura (Lily) Sona, maestre del pizzo al tombolo, soprattutto nella composizione di diversi ritagli di esso, con tecnica patchwork, come testimonia lo straordinario arazzo con le maschere della commedia dell’arte, commissionato da Lele Luzzati per la nave Oceanic. Ieri, tanti loro oggetti sono stati esposti al Lascito Cuneo di Calvari, nella mostra allestita in contemporanea con il momento di racconto della loro storia personale, ricostruita, per conoscenza diretta e profonda amicizia di famiglia, dalla professoressa Giovanna Bonini, ma anche dalla II B della scuola media di Cicagna, con i ragazzi in veste di ricercatori storici, coordinati dalla decente Federica Santi. Adesso «alcuni loro lavori – spiega la stessa Bonini – insieme ad altri merletti appartenenti alla mia famiglia, verranno assegnati al Museo del Damasco di Lorsica per essere esposti». Considerato che il lavoro della Oceanie, “scoperto” da Emilio Cana quando la nave era destinata al disarmo, si trova al Museo del Merletto di Rapallo, si può dire che le due sorelle hanno un degno riconoscimento postumo. Anche se, senza alcuna colpa e solo per il fatto di essere di famiglia ebraica, «nate benestanti si ritrovarono, dopo la guerra, quando vennero a vivere a Lavagna, senza più nulla – ricorda Bonini – Per sopravvivere s’erano rifugiate in Val Trebbia, a Fontanarossa, passando il gelido inverno del ’44 in un essiccatoio delle castagne. Ispirarono anche un racconto di Elena Bono, “E fu sera e fu mattina”, inserito nel libro “Una valigia di cuoio”».
Nell’incontro di ieri Renato Lagomarsino ha mostrato ai presenti un libro di quinta elementare degli anni Trenta, con una (ignobile, si può dire oggi) pagina di storia costruita sul concetto di superiorità della razza latina e sulla descrizione di quella giudaica, “dispersa per maledizione di Dio, e infiltratasi nelle patrie degli ariani, dove inculca Io spirito della sete di guadagno”.
Il vicesindaco di San Colombano Certenoli, Fabio Zavattero ha invece citato, «non per dovere verso di lui ma verso gli ebrei italiani deportati» memorie di suo padre, Filippo, che, prima di diventare per decenni sindaco del Comune, era stato aiutante maggiore del comandante del Campo 52 : «Se ne sente parlare come di un lager ma è bene restituire la verità storica. Sia i prigionieri di guerra, sia successivamente gli ebrei italiani, qui erano trattati nel pieno rispetto dei diritti umani, liberi anche di girare in zona. Quando arrivarono i tedeschi, a deportarli, nel gennaio del ’44, cambiò, forzatamente, tutto, e quel giorno, il 21, ci furono i veri episodi di disumanità».

(Articolo tratto da Il Secolo XIX del 22/01/2019)

Per saperne di più leggi l’articolo “Due ebree a Fontanarossa”

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