Hemingway e la “valle più bella del mondo”

“Oggi ho attraversato la valle più bella del mondo”. Questa frase, attribuita a Ernest Hemingway, oggi è diventata lo slogan di chiunque parli o voglia presentare la Val Trebbia.

Ma lo scrittore americano è stato veramente in Val Trebbia e ha scritto veramente questa frase?

Facendo delle ricerche su internet non si trova granchè in merito, l’unico sito che ha dedicato alcuni articoli all’argomento è www.valdaveto.net. Leggendo gli articoli raccolti abbiamo cercato di ricostruire la “leggenda” di Hemingway in Val Trebbia.
Nel 1995 Giovanni Calamari nel suo articolo “Orezzoli e la Val d’Aveto – Una fulgida pagina di storia” pubblicato su “La Trebbia” scrisse:

Ebbene, correva l’anno 1945, quando una colonna motorizzata di truppe della liberazione, proveniente da Chiavari per Piacenza transitava per l’impervia strada di fondo Val d’Aveto, superando a stento il ponte interrotto sul Rio Morano nei pressi di Boschi.
Era lì in colonna anche Hemingway, allora corrispondente di guerra americano, il quale giunto a Marsaglia aprì il suo diario e scrisse in grande: ‘Oggi ho attraversato la valle più bella del mondo’.

Sandro Sbarbaro, curatore del sito valdaveto.net, nel 2006 chiese a Giovanni Calamari se avesse delle prove sull’esistenza di tracce del passaggio di Hemingway in Val d’Aveto durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale: il sig. Calamari diede le seguenti delucidazioni:

La presenza di Hemingway in Val d’Aveto mi fu più volte ribadita dal compianto canonico, poi parroco di Ruffinati, don Malacalza.
Don Malacalza mi disse personalmente che Hemingway, nell’anno 1945, rimase in Val d’Aveto per circa 30 giorni a causa del ponte fatto saltare dai partigiani a Marsaglia. Lo scrittore si mostrava molto interessato alla Val d’Aveto ed al suo paesaggio: pare che degnasse appena di uno sguardo la località di Brugnello che pure è ricca di fascino.
Don Malacalza sostenne inoltre che Hemingway appariva affascinato dalla galleria ove ora è posta la Madonnina del Roccione.
Lo stesso Don Malacalza fece stampare, in seguito, una cartolina con la famosa frase attribuita ad Hemingway “oggi ho attraversato la valle più bella del mondo”.
Don Malacalza mi spiegò che, dei due americani che un giorno a lui si presentarono, uno solo (Hemingway) parlava bene la lingua italiana.

Il passaggio di Ernest Hemingway fu quindi ulteriormente ribadito al Calamari da un vecchio paesano di Orezzoli, un certo Malaspina, il quale sostenne di aver fatto da guida ad Hemingway su per i monti della Val d’Aveto. Alle domande del Calamari il vecchio contadino ribadì che dalla zona di Orezzoli lo sguardo dello scrittore spaziava indietro verso l’alta Val d’Aveto, dai cui picchi era affascinato.

Nel 2005 Sandro Sbarbaro ebbe l’occasione di conoscere Gianfranco Cereda, cultore ed estimatore del grande scrittore americano, il quale gli promise di inviargli a stretto giro di posta le sue deduzioni riguardo il presunto passaggio di Hemingway in Val Trebbia ed in Val d’Aveto.
Ecco un estratto della risposta di Cereda:

Tutto è cominciato agli inizi degli anni ’70 quando un mensile di pesca ha pubblicato nella rubrica “Itinerari” un articolo dedicato al Trebbia (tratto ligure) con notizie sulla semina di trote e regolamenti. L’articolo concludeva accennando, in un passato non precisato, alla presenza di Hemingway pescatore nel Trebbia.
In quegli anni – abitavo ancora a Tortona – ero assiduo pescatore nel Trebbia e la notizia mi colpì: ammiravo lo scrittore e avevo letto tutti i suoi libri pubblicati in Italia.
Dopo la notizia (per un po’ di tempo l’ho creduta vera!) pescando nel Trebbia in assoluta solitudine, provavo l’emozione di immaginare Hemingway intento alla pesca nello stesso fiume dove ero io.
Successivamente ho cercato conferma alla notizia riportata dalla rivista rileggendomi le biografie esistenti, ricche di testimonianze e con indicazioni delle fonti.
Ho letto di uscite a pesca durante i suoi soggiorni in Europa, fiumi e torrenti di Francia, Austria, Spagna e, per l’Italia, a Cortina nel Boite. Ma allora… Hemingway fu mai a pescare nel Trebbia?
Nell’ottobre 1948 Hemingway sbarcò a Genova con la quarta moglie Mary Welsh e una Buick azzurra decappottabile.
La fama dello scrittore era al culmine, grande il successo dei suoi romanzi tradotti in Italia dopo che il fascismo ne aveva vietato la pubblicazione.
In attesa di partire per Meina sul lago Maggiore, invitato dal suo editore Mondadori, in albergo concesse interviste ai numerosi invitati dei maggiori quotidiani italiani.
Dichiarò di sentirsi emotivamente legato alla Liguria e al Veneto, di ritrovarsi nella città dove 30 anni prima, nel 1918, reduce dalla guerra si era imbarcato per tornare in patria.
Non mancarono le domande sulla sua passione per la pesca: all’Avana praticò la pesca in mare con grosse prede ma un tempo lontano lo appassionò la pesca alla trota nei torrenti e disse della Liguria, visitata anni prima, ove aveva notato valli incantevoli con fiumi allettanti per la pesca.
Per sfuggire all’assedio dei giornalisti, con la Buick guidata da Riccardo (l’autista assunto sulla nave) gli Hemingway visitarono l’entroterra: Ronco Scrivia, Alessandria e anche Tortona.
Io ricordo, al ritorno da scuola, la grande Buick parcheggiata nella via davanti al bar più lussuoso della città attorniata da una folla di curiosi.
Il giorno dopo, dal giornale, appresi che il famoso scrittore era stato in città.
Si può quindi escludere che nel 1948, nei giorni di permanenza a Genova, Hemingway fosse andato a pescare: da notare che si era in ottobre e quindi, per regolamento, c’era il divieto di pesca.
L’anno successivo, nell’aprile 1949, reduci da Cortina gli Hemingway soggiornarono per alcuni giorni in un albergo di Nervi in attesa dell’imbarco a Genova per l’Avana.
A Fernanda Pivano, che alcuni anni fa tenne una conferenza su Hemingway alla biblioteca di Agrate, sapendo che nel 1949 era stata a Nervi per salutarli prima della partenza, rivolsi la seguente domanda:

“È possibile che in quei giorni dell’aprile 1949 Hemingway si sia recato a pescare?”

Mi rispose che lo riteneva pressoché impossibile.
Essendo la Buick stipata di bagagli e souvenir d’Italia… non c’era certamente posto per le canne da pesca!
Ho finito per convincermi che la leggenda di Hemingway pescatore nel Trebbia sia nata da un equivoco.
Hemingway era infatti passato per la Val Trebbia già ventidue anni prima.
Nel marzo – aprile 1927 Hemingway si diresse dalla Francia verso la Costa Azzurra per poi proseguire verso Genova e Rapallo.
Il viaggio riprese: La Spezia, Pisa, Firenze, Rimini, Forlì, Imola, Bologna, Piacenza.
Da Piacenza il percorso più breve per giungere a Genova e rientrare in Francia era la strada della Val Trebbia: lo scrittore la percorse certamente fino a Torriglia.
A Hemingway pescatore non sarà sfuggita la visione del fiume che scorreva in basso.
Un giornalista (mi è stato detto de “Il Secolo XIX”), in una successiva intervista nella quale lo scrittore parlò del fiume Trebbia visto scorrere in fondo alla valle, intese che lo scrittore fosse stato a pescare.
E così, da questo equivoco, è nata e nel tempo si è diffusa la leggenda.

Nel libro di Nicola De Biase “Ambienti fluviali e temoli a mosca”, 1996, Amico Libro editore, nel capitolo sull’Aveto c’è l’episodio narrato dall’autore di un incontro in Aveto, vicino a una fontana, con un ultra-ottantenne che gli raccontò della valle e del torrente:

“…ad un certo punto mi fulminò dicendomi che Hemingway amava quella valle così come le sue trote. Aggiunse che ne aveva citato i rumori, ampiamente, descrivendoli in un suo scritto”.

Questo brano tratto dal libro di De Biase dimostra come può nascere una leggenda.
Nell’articolo “La vera storia di Hemingway a pesca in Val d’Aveto” di Franco Draghi sempre tratto da valdaveto.net c’è una testimonianza del dott. Luigi Peppino Callegari :

” Agli inizi degli anni ’50 – racconta Callegari – avevo aperto uno studio dentistico anche a Bobbio ed in questa accogliente cittadina fui contattato dal mio amico avv. Bellocchio, con studio a Piacenza e a Bobbio, per sentire se fossi stato disposto ad accompagnare Hemingway, suo ospite, a pescare trote nell’Aveto.
Lo scrittore arrivò a Bobbio al volante di una jeep americana, residuato di guerra.
Imboccata a Marsaglia la valle dell’Aveto – prosegue il dott. Callegari – abbiamo fatto tappa a Salsominore, nella cui osteria Ernest Hemingway, quantunque ancora digiuno, tracannò due bottiglie di vino bianco dei Colli Piacentini.
La pesca fu abbondante e a mezzogiorno divorammo una forma di formaggio “nisso”.
Tra un racconto e l’altro sulla guerra di Spagna, su quelle Mondiali e sulla lotta partigiana in Val Trebbia, abbiamo bevuto altre cinque bottiglie di bianco.
Il ritorno verso Bobbio – precisa Callegari – fu avventuroso. La jeep di Hemingway, sotto la sua temeraria guida, sbandava da una cunetta all’altra.
Giunti in Piazza San Francesco ci siamo abbracciati calorosamente ed Hemingway ebbe ancora il tempo di tessermi un affettuoso elogio per le mie capacità di pescatore e per il frizzante vino della vecchia osteria di Salsominore.
Da quel momento non ci siamo più visti ne sentiti, ma il suo ricordo rimane vivo e simpatico nel mio cuore “.

Ancora in valdaveto.net Giovanni Calamari nell’articolo “Ottone e Rapallo: un gemellaggio spirituale” scrive:

Il premio Nobel americano Ernest Hemingway scrisse il primo libro nella Rapallo della sua ispirazione e quando nel 1945 ebbe occasione di scrutare la Val d’Aveto (compresa l’area di Orezzoli), mentre si trovava al seguito dell’esercito di liberazione come ufficiale giornalista, la definì “la valle più bella del mondo”.
La divisione militare proveniente da Chiavari – Rezzoaglio al cui seguito Ernest Hemingway si trovava, essendo ponti e strada interrotti dalle mine partigiane contro i tedeschi, rimase bloccata per due o più settimane a Marsaglia in attesa che si aprisse un varco per Bobbio.
Hemingway, già valoroso giornalista e combattente diciannovenne nella prima guerra mondiale, ne approfittò per ritornare più volte in camionetta lungo la Val d’Aveto.
Mancando allora ogni allacciamento stradale a popolose frazioni (allacciamenti che, una volta costruiti, servirono anche a spopolarle), l’ufficiale scrittore, provetto e temerario escursionista, proseguì a piedi su mulattiere e sui sentieri più impervi, oggi pressoché scomparsi.
Forse quando parlò del bello della Val d’Aveto si riferì pure al bello-orrido.
Un giorno lasciò la camionetta con due soldati presso il roccione di Cattaragna, dove oggi sorge l’omonima Madonnina del compianto Canonico Don Malacalza, e con un collega ufficiale si arrampicò sino alla costa di Orezzoli.

Costanzo Malchiodi in un articolo pubblicato su “La Trebbia” nel 2003, “La valle più bella del mondo”, esclude che che l’esercito alleato sia mai passato per Bobbio nella primavera-estate del 1945 e rileva che in nessuna opera di Hemingway risulta scritta un’affermazione di inarrivabile bellezza della Valtrebbia oppure della Valdaveto.Nel bozzetto “Che ti dice la patria”, inserito ne “I quarantanove racconti” (Oscar Monda­dori, pagg. 297 e segg.), lo scrittore parla di un viaggio in Italia compiuto sul finire degli anni venti a bordo di una Ford coupé lungo la riviera ligure e proseguito per La Spezia, Pisa, Firenze, Rimini, Forlì, Imola, Bologna, Parma, Piacenza e di nuovo a Genova e Ventimiglia per ritornare in Francia. Dunque Hemingway da Piacenza andò a Genova ma su quella tratta non scrisse alcunché.
Addirittura Malchiodi nell’articolo parla di un suo incontro con un vecchio notabile bobbiese il quale gli raccontò che nel 1911 a Bobbio passò il romanziere statunitense Henry James:

”Arrivò da Genova, si fermò un giorno a Bobbio e pernottò all’albergo Barone; se fosse ancora vivo tuo nonno te lo potrebbe confermare. Con il passare del tempo, dopo la morte di Henry James nel 1916 e l’ascesa nel firmamento let­terario di Ernest Hemingway il nome Henry James venne storpiato in Hemingway”.

Non si sa però se almeno lui scrisse che la Valtrebbia era la valle più bella del mondo.
Insomma, concludendo, la prova certa che Hemingway abbia pronunciato la storica frase non esiste, le testimonianze esistenti riguardano più la Val d’Aveto che non la Val Trebbia, comunque certamente la sua ipotetica affermazione ben si adatta ad ambedue le valli.

Marco Gallione

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