Ottone, cronache dell’Ottocento di Carlo Francesco Carboni

Intimidazione riuscita male

Un ottonese aveva avviato un importante negozio/emporio al piano terra del Palazzo Doria, tra piazza della Vittoria (allora Montone), e incipiente via Ligure. La concorrenza, preoccupata per il proprio avvenire economico ed imprenditoriale, inviò alcuni robusti ambasciatori a persuadere il temerario(secondo loro), a concludere la fiorente sua impresa. Due di loro furono immediatamente stesi; il terzo, soggetto intelligente con facilità di immediato apprendimento, tentò di cambiare aria, dandosi a fuga precipitosa. Un sacco di farina da un quintale, lanciatogli tra capo e collo lo convinse a fermarsi ancora un po’, aspettando con i suoi complici prosieguo e conclusione dell’infelice ambasciata.

Il primo cavallo arabo di Ottone

Lo stesso ottonese aveva acquistato a Genova uno splendido cavallo arabo, negli anni Settanta di due secoli fa. Secondo quanto la famiglia tramanda il cavallo venne aggregato ad una carovana di mulattieri e trasferito in paese. Un viaggio impegnativo data l’irrequietezza di un animale a quel tempo acerrimo nemico di sella, briglia e padrone. Servì pazienza ed esercizio per poterlo cavalcare. All’inizio, solo a pelo e con molti riguardi. Divenuto più ragionevole, per diversi anni rappresentò il sogno di tutti. Una “star” molto ammirata. Più bianco della neve; criniera leggiadra, sempre agitata dai venti di velocità esuberanti; incedere maestoso; perfetta complessione. Il fortunato proprietario, ovviamente, ne andava fiero. E ne aveva ben donde. Purtroppo durante una galoppata lungo la vecchia SS 45 di Val Trebbia, nei pressi  del ponte sul torrente Ventra, una biscia lucida e nera; lunga, orribile, sinuosa; attraversò improvvisa la strada (forse era un biacco, nella zona se ne incontrano ancora oggi). Si scatenarono, allora, imprevedibili, le reazioni del purosangue. Ad un’impennata quasi verticale, seguì folle corsa del cavallo, conclusasi in modo tragico sugli scogli del fiume sottostante. Il cavaliere, disarcionato, se la cavò, invece, con pochi danni e molto rimpianto.

Tentativo di rapina finito bene

Fece impressione l’avventura capitata all’ottonese di cui sopra, mentre si recava in calesse a Torriglia. Nei pressi del bivio di Pianazzo (Montebruno), fu aggredito da un bandito. Il delinquente, sdraiato nella cunetta, invisibile a suo giudizio, ma in questo caso non troppo, attendeva paziente l’arrivo di qualche (raro) malcapitato. Si sarebbe poi lanciato, spiacevole sorpresa, verso la briglia del cavallo per arrestarne il lento faticoso movimento, in un punto di forte risalita. Si stava configurando, dunque, un’aggressione, a scopo di rapina! Il viandante, robusto, coraggioso e di certo non sprovveduto, stava all’erta. Al momento giusto diverse frustrate, centrate con mano pesante e sicura, molto educativa, scompigliarono le carte in tavola al temerario  aggressore. Almeno per il momento, l’inaspettata, bruciante “gragnola”, a ciel sereno, suggerì al criminale un’immediata conversione. Conversione visibilmente espressa da decisa, dolorante fuga  espiatoria, chissà dove. Il viaggio riprese tranquillo.

Notizie liberamente tratte dal manoscritto: “Storia della mia famiglia”, a cura di Carlo Francesco Carboni, (1837/1917).

Attilio Carboni

(Articolo tratto dal N° 9 del 08/03/2018 del settimanale “La Trebbia”)

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