Così si suona e si tramanda il folk delle 4 province

Unica nel panorama folk italiano, la musica popolare delle 4 Province (il territorio appenninico compreso appunto tra le province di Pavia, Genova, Piacenza e Alessandria) ha un’origine incerta, ma nelle valli e nei paesi dell’alto Oltrepo è ancora molto viva e continua a far ballare le persone così come faceva molti anni fa, sulle aie dei paesi.
Principali detentori di questa tradizione musicale sono Stefano Valla (piffero) e Daniele Scurati (fisarmonica), i quali dal 2000 girano l’Italia e il mondo per far conoscere questo straordinario patrimonio al di fuori della sua terra d’origine e che durante tutto il mese di agosto animeranno con le loro note le piazze di tanti paesi della zona. Abbiamo intervistato Stefano Valla per farci raccontare qualcosa in più su questo particolare genere musicale e sul modo in cui ne viene conservata la memoria.
Cosa rende la tradizione musicale delle 4 Province diversa dalle altre?
«Innanzitutto il fatto che non si è mai smesso di suonarla: a differenza di molte altre tradizioni popolari ha continuato ad essere tramandata oralmente di generazione in generazione, riuscendo a rinnovarsi nel tempo e a rimanere vivissima e perfettamente integra. Oltre che per lo straordinario modo in cui si è conservata, però, questa musica è unica anche per le sue sonorità particolari, che non ricordano quelle di nessun’altra tradizione musicale che io conosca».
Cioè?
«Del tutto inusuale è l’accoppiata piffero (un oboe ad ancia doppia, strumento antico che risale probabilmente al medioevo) e fisarmonica (invenzione di nemmeno cento anni), qualcosa di assolutamente inedito per la musica popolare. Inizialmente al posto di quest’ultima si utilizzava la cornamusa ligure, che venne sostituita nella seconda metà del secolo scorso per volere del pifferaio Giacomo Sala, il quale portò così la musica delle 4 Provincie al passo coi tempi».
Qual’è l’origine di questa musica?
«Difficile a dirsi: essendo sempre stata tramandata oralmente i ricordi della collettività permettono di arrivare solo fino al ‘700, ma non è da escludere che sia molto più antica. Sono stati fatti degli studi a riguardo, ma non si è mai scoperto niente di più preciso».
E riguardo alle danze?
«Le principali (ancora tutte praticate) sono l’alessandrina (o monferrina), la giga, la piana e la danza di Carnevale. Quest’ultima ha dei connotati apotropaici (che serve ad allontanare o ad annullare un influsso magico maligno ndr) e dei significati simbolici molto evidenti che la rendono particolarmente interessante».
Lei come si è avvicinato a questa musica?
«In realtà ci sono nato dentro: fin da piccolo a Cegni (il mio paese natale, dove vivo tutt’oggi, in valle Staffora) ascoltavo ipnotizzato i musicisti del paese e la nonna Maddalena, la cui voce era così bella che quando cantava nei campi tutti smettevano di lavorare. Con il tempo mi sono seriamente appassionato a questa straordinaria tradizione e ho deciso di imparare: a diciotto anni ho iniziato a studiare con i maestri Ernesto Sala e Andrea Domenichetti e prendendola come una scelta matura mi sono dedicato non solo al repertorio (che, non sapendo leggere la musica, eseguo tutto a memoria) ma anche la danza e l’artigianato. Dopo aver imparato tutto ciò che potevo sulla tradizione ho cominciato a comporre brani originali che potessero continuarla e a collaborare con musicisti di altro genere per mostrare come possa essere ancora duttile e attuale».

Serena Simula

http://laprovinciapavese.gelocal.it (06/08/2014)

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