Lo stemma dei Campomenosi, già nel 1300 erano di parte ghibellina

Qualche tempo fa avevo promesso ai lettori del nostro settimanale, e mi ero ripromesso, di scrivere un articolo, corredato dell’immagine relativa, sullo stemma dei Campominosi (e Campomenosi). Alcune ricerche, condotte su vari fronti, hanno permesso di arrivare a conclusioni quantomeno attendibili. In particolare mi è stato di grande ausilio uno studio di Luca Maggiore, italiano di origini abruzzesi, ricercatore presso l’Università di Anversa, in Belgio.
Questo docente non solo ha riscoperto lo stemma del casato, ma anche la genealogia della famiglia di Cipriano Campomenoso, fratello minore del più noto Angelo (sepolto nel 1611 nella Chiesa di Santa Maria di Castello di Genova col suo blasone, come si trova scritto in un documento conservato presso l’Archivio di Stato della stessa città, che personalmente consultato, ms. 478) entrambi dediti al commercio di opere d’arte dei pittori fiammighi dei secoli XVI e XVII (si veda “La Trebbia” del 20 -10. 2011, n. 36 ). Di Cipriano e dei suoi discendenti, che vissero stabilmente in Belgio, lo stesso Maggiore fornisce notizie molto dettagliate.
É certo che lo stemma dei Campomenosi ha subito qualche modifica, secondo, possiamo affermare, la “brezza dei tempi”, ma è rimasto fondamentalmente lo stesso. Quando nel 1299 “Rolandinum de Campolimenoso” (di Campomenoso) fu nominato rettore della chiese di Allegrezze e Alpicella (Cfr. ARCHIVUM BOBIENSE 1994/95, p.107), il blasone dovette essere quindi simile a quello descritto nel ottocentesco dizionario di araldica, conservato presso La Società Economica Chiavarese di A.G.M. SCORZA ( Ristampa a cura delle Edizioni Studio Ricerche, Genova, 1955, vol. I, p. 240 ), che recita così – Arma: Spaccato d’azzurro e d’argento, al, leone dell’uno nell’altro, armato e lampassato di rosso, coronato d’oro, tenente un giglio nello stesso; con tutta la fascia ondata di rosso attraversante sul tutto.
Durante il XVI secolo, un periodo in cui i due fratelli Campomenoso si recavano spesso ad Anversa, lo stemma aveva subito qualche piccola modifica. La fascia ondata di rosso era diventata una semplice linea di separazione, mentre la corona del leone non appariva d’oro. Ciò non toglie nulla al fatto che nello stemma non sia cambiato granché.
Negli studi araldici si trovano anche altri blasoni relativi al casato, ma sono stati unicamente prodotti a scopi commerciali. Nimium ne crede colori ( Non fidarti troppo del colore) scrive Virgilio (Bucoliche, Egl.II).
I Campomenosi, dai documenti a nostra disposizione, già nel 1300 erano di parte ghibellina, come dimostra la stessa fascia ondata di rosso e, successivamente, la linea orizzontale (e non in diagonale propria dei Guelfi), che separa la parte superiore da quella inferiore.
La rivista ARCHIVUM BOBIENSE (ibid. p. 99) annota una controversia tra il Giovanni di Ottone e Guglielmo de Campolimenoso riguardo all’assegnazione della chiesa di Rezzoaglio. Per due volte il prete Gugliemo de Campoleminoso viene rimosso de Insula (Rezzoaglio Bassa) nell’arco di quindici anni e sostituito dal prete Giovanni di Ottone di parte guelfa, gradito ai monaci del cenobio di Pavia e alla pieve di Alpepiana.
Nel secolo XVI con l’avvento al trono imperiale di Carlo V d’Asburgo, il casato venne, in un certo senso, premiato all’interno della Repubblica di Genova, fedele alla corona di Spagna. Angelo Campomenoxio (la fricativa prepalatale – C -, seguita da vocale palatale, è resa mediante il grafema <X>, perchè la J, propria del dialetto genovese, non è presente nella lingua italiana) impalmerà nel 1555 addirittura Francesca Doria Invrea, figlia naturale di Tommaso Doria Invrea, patrizio genovese. Il ricordo di Angelo Campomenosi a Santo Stefano si è perpetuato nei secoli.
È menzionato ancora come “quellu de Campumenusu da-u gippunettu (gilè) russu”. Il colore rosso è stato fin dai tempi dei Romani un distintivo della nobiltà. I Campomenosi da secoli avevano seguito i dettami dell’imperatore. Come dire che la coerenza, prima o poi, ripaga.

Piero Campomenosi

(Articolo tratto dal N° 5 del 31/01/2013 del settimanale “La Trebbia”)

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