Il mio primo Natale sui monti

Il sentiero era a mala­pena visibile per un centinaio di metri. Poi nulla attorno, soltanto alberi scheletrici e un infinito manto bianco che copriva ogni traccia. La neve cadeva grossa grossa e all’improvviso si alzò un forte vento di bufera.
La neve faceva mulinello attorno a me, mi circondava, mi avvolgeva, un turbinio di grosse falde e di nevischio mi copriva il corpo, il viso, mi penetrava negli occhi, mi otturava le orecchie, togliendomi quasi il respiro.
Per qualche minuto quel mondo misterioso e magico di neve e di tormenta mi piacque. Mi fermai ad ascoltare quella musica tra gli alberi di castagno secchi e nudi: una musica strana, nuova, stupenda. La si sente soltanto quando il vento forte di dicembre urla tra gli alberi, sui monti la vigilia di Natale.

Ero stato per tre lunghe ore in confessionale a Fontanarossa, un paese ad un’ora di strada dalla mia parrocchia, e la gente che arrivava dalla città a grappoli si assiepava in chiesa per mettersi in regola con Lassù. Domani è Natale! Ad un certo punto faccio una pausa e mi guardo attorno dalla finestra della sacrestia. Quel cielo di piombo impressionava, quasi impauriva, sembrava che ti cadesse addosso. Un ultimo round: “lo ti assolvo… va in pace”. Tanta buona gente era venuta a far bucato al confessionale, perché desiderava presentarsi alla Grotta di Betlemme con le mani pulite e il cuore purificato. Alla fine un saluto veloce al simpaticissimo parroco Don Marco, un prete alto e robusto, e un attimo dopo sono là, in quel bosco immenso, dove ogni albero di castagno sembrava un’anima dannata. Sono i giorni più corti dell’anno, si fa buio prestissimo in dicembre, e mi attende un lungo cammino nei boschi; col tempo bello un’ora di strada, ma con la neve? Devo scendere verso il torrente, per poi salire i miei trentadue faticosi e ripidi tornanti alla volta di Alpe.

La tormenta non cessa, sembra anzi aumentare di intensità e di violenza. Perdo il sentiero, perché la neve in poco più di mezz’ora lo ha completamente coperto, il terreno è ormai tutto uniforme. E’ buio, ma la neve è luminosa e mi aiuta a camminare tra uno e l’altro di quegli enormi tronchi contorti e nodosi.
Mi faccio coraggio, invento un mio sentiero, gioco di fantasia, chissà, potrebbe anche portarmi verso il ponte sul torrente. Ma subito mi accorgo che scendo troppo a valle e sto paurosamente sbagliando rotta. Ritorno nel bosco, mi illumina la neve che ormai è alta e soffice. 11 vento produce strani effetti di sonorità, ma nei momenti di silenzio sento cadere la neve. Per alcuni attimi mi fermo e ascolto. E’ un rumore soffice, unico. Sensazioni strane che molte altre volte potrò avvertire in altri viaggi a piedi tra i monti.
I contemplativi di Vallombrosa o di Camaldoli o di Fonte Avellana, pensavo quella Vigilia di Natale, vivono l’inverno lassù, tra i boschi innevati, spesso nella bufera e nel silenzio più sublime, che avvicina a Dio.
E intanto zigzagando nel buio, anch’io creatura del bosco, rompo la neve soffice e non guasto il silenzio che ritorna più spesso perché il vento sembra allontanarsi e urlare lontano.
Attorno a me tutto è bianco, anche le foglie secche sotto gli scarponi non le sento più: cammino e penso e scendo verso valle, nella speranza di trovare quel ponte, ma prima vorrei avvertire il rumore dell’acqua. Domani è natale, pensavo, un natale di neve, come desideravo da bambino, quando sulle montagne del presepio facevo scorrere un po’ di farina, perché dovevano essere bianche. Ma senza neve che Natale è?

Improvvisamente un calpestio lontano, poi sempre più vicino, ma avvertivo che era affannoso e faticoso. Un uomo alto e angosciato e affaticato con una pila nella sinistra e un bastone nella destra saliva arrancando. Mi veniva a cercare nel bosco. Era quel galantuomo del mio papà che, inquieto per non avermi visto arrivare, si era messo in cammino in quella terribile sera di neve e di tormenta. E Dio sa con quanta angoscia in cuore. Poche parole appena e insieme scendiamo al torrente, e poi arranchiamo sui nostri trentadue tornanti fino a casa. Manca poco a mezzanotte.
Avevo gironzolato diverse ore tra quei tronchi contorti, aveva sentito le urla del vento e della bufera, mi ero fermato più volte per contrastare quel vento furioso che mi toglieva il respiro, ma io sognavo il mio primo natale sui monti.
Dopo tutto è stato bello. Quella notte sui sentieri innevati e sdrucciolevoli non ero solo. Molti colleghi stavano come me scarpinando su altre mulattiere per portare la Messa di natale forse in una frazione sperduta sulla costa di un monte.
A mezzanotte la neve cadeva ancora grossa grossa, e quei miei parrocchiani, giunti numerosi anche da Genova, dove ormai da anni abitavano, a gruppetti si posero attorno al presepio. Le loro donne intonarono con tutta la forza della loro voce “Tu scendi dalle stelle… ”

Anche lassù, a mille metri di altitudine, oltre quel cielo di piombo, oltre quel vento urlante di bufera, le stelle brillavano ancora.

Don Guido Migliavacca

(Articolo tratto dal N° 2 del 12/01/2012 del settimanale “La Trebbia”)
(La fotografia di Fontanarossa è di Jessica Rinzivillo)

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